Venerdì 19 Aprile 2024

La (vera) lezione di Keynes Spesa pubblica e deficit? Medicine da usare con cautela

In un testo di Giorgio La Malfa la rilettura del pensiero keynesiano al netto delle false credenze. L’intervento dello Stato era per il celebre economista una misura d’emergenza temporanea

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di Antonio Patuelli

ROMA

Le più diverse e gravi crisi economiche e le emergenze finanziarie si susseguono furiosamente ormai da un quindicennio e il pragmatismo è il metodo inevitabile per affrontarle. Occorre, però, anche elevare gli orizzonti delle riflessioni per ricercare visioni più ampie. In ciò è d’aiuto Giorgio La Malfa col suo nuovo volume su ‘Keynes l’eretico’ (Mondadori editore), alla ricerca proprio di stimoli intellettuali per affrontare ora con strategia e successo la crisi energetica e la nuova inflazione.

Ora, in una delle fasi più difficili dell’ultimo secolo, la fiducia nel valore delle idee e l’impegno a cercare soluzioni razionali con energia intellettuale rappresentano attualissimi insegnamenti morali e di metodo di Keynes. In particolare, assai nitidamente La Malfa dissipa alcuni equivoci relativi al pensiero di Keynes, soprattutto sul ricorso alla spesa pubblica.

"La riflessione intorno alla possibilità di intervenire sull’andamento del sistema economico di mercato – scrive –, e la fiducia che vi possano essere risposte efficaci a problemi che il sistema di mercato non risolve spontaneamente non significano l’automatico ricorso alla spesa pubblica o al deficit" sottolinea La Malfa, che rileva che "in realtà Keynes fu sempre molto prudente riguardo all’uso del bilancio pubblico… Reputava che la via maestra per compensare le fluttuazioni cicliche dell’economia fosse la politica monetaria. La spesa pubblica, a suo parere, sarebbe dovuta intervenire solo in presenza di una palese inefficacia della politica monetaria: o perché la Banca Centrale non era in grado di far scendere i tassi d’interesse nella misura necessaria a stimolare un volume d’investimenti privati in grado di portare il sistema verso la piena occupazione, o perché neppure i tassi d’interesse molto bassi erano in grado di stimolare un adeguato volume di investimenti. In questo caso il ricorso alla spesa pubblica in deficit diventava inevitabile".

Insomma, sul bilancio pubblico Keynes riteneva che occorresse distinguere fra spese correnti e spese d’investimento e difendeva il ricorso alla spesa in deficit solo per investimenti in casi di necessità e specificava che appena le condizioni lo permettevano occorreva riportare il bilancio in pareggio. La parte corrente del bilancio dello Stato doveva comunque sempre rimanere in pareggio. Quindi l’intervento pubblico, sottolinea La Malfa, è una medicina necessaria da somministrarsi con cautela, in proporzione alle necessità e con molta attenzione per gli effetti collaterali.

La grande prudenza di Keynes era strettamente connessa alla sua forte convinzione della superiorità anche morale degli Stati basati su regole di libertà e democrazia rispetto agli Stati totalitari. Ed è attualissima la profonda convinzione di Keynes che, mentre taluni sistemi statali autoritari sembrano poter risolvere il problema della disoccupazione, ma a scapito della libertà e dell’efficienza, è assolutamente preferibile, possibile e necessario risolvere il problema della disoccupazione preservando la libertà e l’efficienza.