Giovedì 25 Aprile 2024

La tragedia del campione Si allena in bicicletta travolto da un tir pirata Muore l’ex azzurro Rebellin

L’incidente nel Vicentino, il 51enne si era da poco ritirato dalle corse: una carriera di successi. Il camion in fuga ripreso (dopo lo schianto) dalle telecamere di un ristorante. Caccia al conducente

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di Angelo Costa

MONTEBELLO (Vicenza)

Dalla bici non sarebbe mai sceso: come professionista lo ha fatto soltanto lo scorso ottobre, a 51 anni, il più anziano in gruppo. In bici ci ha lasciato la vita, investito e ucciso da un camion, come il suo collega Scarponi cinque anni fa. La parabola di Davide Rebellin si è chiusa in modo tragico ieri, poco prima di mezzogiorno, sulle strade del suo Veneto, dove continuava a pedalare: a Montebello Vicentino il ciclista, in sella a una gravel, è stato travolto da un automezzo che usciva da uno svincolo. Dopo l’impatto, l’autista non si è fermato. Le prime ricostruzioni ipotizzavano che il camionista potesse non essersi accorto di nulla. Ma i carabinieri hanno guardato le immagini delle telecamere di sicurezza di un ristorante, ‘La Padana’, nel cui parcheggio il camion è stato visto entrare, subito dopo l’incidente: se il mezzo è poi ripartito da lì, è pressoché impossibile che chi era alla guida non si sia accorto del corpo a terra. Ma fino a ieri sera del tir non c’era traccia. Inutile ogni tentativo di soccorso: Rebellin, nativo di San Bonifacio nel Veronese e residente a Lonigo, nel Vicentino, è morto sul colpo. Tra i primi ad accorrere sul luogo della tragedia il fratello Carlo: sentendo che un ciclista era stato investito, ha avuto il presentimento che potesse trattarsi di Davide. Purtroppo, ne ha avuto la conferma.

Sconvolto l’ex compagno di squadra in azzurro, Vincenzo Nibali: "È stato un vero choc". "Atroce morire così dopo 30 anni da professionista", ha commentato l’ex ct azzurro Davide Cassani. La premier Giorgia Meloni si è detta "turbata e rattristata".

Parlare di una vita trascorsa in bicicletta nel caso di Rebellin non è un luogo comune: in sella a otto anni, Davide diventa professionista a 22 dopo essersi rivelato un talento fra i dilettanti. In trenta stagioni attraversa varie generazioni: corre con Bugno e Indurain, con Pantani e Armstrong, con Basso e Contador, con Nibali e Valverde, fino a Bernal e Pogacar. Corre in tredici squadre, di ogni dimensione, da quelle di statura internazionale (Mg, Polti e Liquigas) a quelle di categoria inferiore, a ogni latitudine: negli ultimi anni, pur di stare in gruppo, si accasa in Croazia, in Kuwait, in Algeria e pure in Cambogia. Corre a qualsiasi livello: dalle grandi corse, come il Tour e il Giro d’Italia dove vince una tappa (monte Sirino, nel 1996) vestendo per sei giorni la maglia rosa, fino alle gare in scenari che sfuggono ai riflettori, come Romania, Tunisia, Iran e Emirati Arabi. "Lo faccio perché mi piace correre", la semplice spiegazione di un’avventura che lo ha visto quasi sempre portare a termine le gare, resistere a gravi incidenti e percorrere in bici quasi un milione di chilometri, fra allenamenti e corse, l’ultima lo scorso 16 ottobre, la Veneto Classic, chiusa al trentesimo posto.

Un’avventura con momenti felici e meno felici. Il più alto nel 2004, quando nella stessa settimana Rebellin conquista tre classiche, l’Amstel, la Liegi e la prima delle sue tre Freccia Vallone, gemme di una bacheca da oltre sessanta vittorie. Il più basso nel 2009, quando l’argento conquistato l’anno prima ai Giochi di Pechino gli viene tolto per una positività al Cera emersa da ulteriori controlli effettuati dal Cio: primo italiano a restituire una medaglia, Rebellin contesta la squalifica sostenendo la cattiva conservazione delle provette e dopo sette anni ottiene ragione in sede penale, venendo assolto dal tribunale di Padova. Un’amarezza che il Chierichetto, come veniva chiamato dai compagni per il carattere mite e riservato, si portava dentro con dolore, protestando la sua innocenza con lo stesso garbo e la voce bassa che ne hanno accompagnato l’intera carriera.