La svolta verde va guidata dalla politica

Pierfrancesco

De Robertis

Altra cosa è stabilire una road map che accompagni l’incipiente rivoluzione industriale, rivoluzione peraltro densa di significativi risvolti geopolitici. È evidente che il tutto e subito non è possibile, né avrebbe senso immaginare un passaggio troppo rapido da sistema basato sul consumo delle fonti fossili a uno fondato sulle rinnovabili. Ma è chiaro che il target del 2035 fissato prima dalla Commissione europea e domani al voto dell’Europarlamento (servirà poi un ulteriore passaggio con il Consiglio europeo, cioé i governi) vuole essere un qualcosa a metà tra una sfida, uno stimolo, una scommessa e forse anche la base per una successiva trattativa. È chiaro che il 2035 è in termini industriali una data molto ravvicinata, ma è altrettanto chiaro che l’industria svilupperà la ricerca e investirà nel cambiamento solo se la politica avrà espresso con chiarezza il senso di un’urgenza. E che il clima stia mutando sono in pochi a nutrire dubbi.

Sarà compito della politica non lasciare sola l’industria che vuole (a questo punto deve) svoltare, sarà compito dell’industria comprendere come il futuro che adesso appare un problema potrà trasformarsi in una risorsa. L’età del ferro è finita non perché è finito il ferro, ma perché il mondo è andato avanti e si sono scoperte nuove risorse, più convenienti ed efficienti. E sarà di nuovo compito della politica disegnare questo percorso con un occhio vigile alle implicazioni geopolitiche delle proprie scelte industriali. La strada per l’autosufficienza energetica dell’Europa è ancora lunga, ma nel frattempo per sfuggire al cattivo Putin evitiamo di metterci nelle mani dei tanti altri personaggi poco raccomandabili in giro per il mondo. La Cina per esempio è grande produttrice di pannelli solari che alimenteranno le auto elettriche, o di terre rare indispensabili per le batterie ricaricabili. Ma non è che a Pechino vadano famosi per la democrazia più che a Mosca. Europa avvertita, mezza salvata.