Sabato 13 Aprile 2024

La svolta del Pd "Basta precariato, l’esempio è Sanchez Ma niente articolo 18"

Nel mirino del Nazareno ci sono il terzo Polo e il M5s di Conte . Il dem Borghi: "I nostri modelli culturali vanno aggiornati" . Malumore fra i riformisti: "Manca poco al voto. Ora si sta uniti"

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di Antonella Coppari

Nella politica della sinistra italiana i modelli europei hanno sempre pesato moltissimo. C’era la sinistra di Josè Zapatero con le sue unioni civili, quella di Lionel Jospin con le 35 ore, quella di Oskar Lafontaine e c’è stata, soprattutto, la sinistra di Tony Blair. Quella che rompeva con le tradizioni socialdemocratiche, e recuperava molti elementi liberali, tanto che le malelingue definivano Blair figlio politco della Thatcher. Per il Pd è stato un faro, in parte ancora lo è; proprio quella stella ha deciso di consegnare al passato Enrico Letta, ispirandosi ovviamente a un altro leader europeo: lo spagnolo Pedro Sànchez.

"Il jobs act all’inizio ha funzionato bene. Poi però è diventato controproducente, incentiva il precariato. Lo dicono i dati: ci sono 3 milioni di contratti a tempo determinato. Non si tratta di restaurare l’articolo 18: noi dobbiamo puntare all’occupazione a tempo indeterminato". Così, senza prefigurare ricette precise se non il taglio del cuneo fiscale per finanziare la riforma, il Nazareno spiega l’uscita a sorpresa del segretario contro il jobs act. "Il mondo è cambiato – rincara Enrico Borghi – Vanno aggiornati i modelli culturali: il mercato del lavoro avrebbe bisogno di un lettura non ideologica. Noi vogliamo una riforma sulla falsariga di ciò che ha fatto in Spagna il governo socialista". Peraltro, di particolari tecnici c’è bisogno fino a un certo punto. L’intento è politico ed elettorale. Si tratta di dare un colpo al competitor sul fianco destro, il terzo Polo di Renzi e Calenda, dipingendolo come fermo a 20 anni fa, ispirato dalla visione di un realtà che non esiste più. Insomma ’blairiano’. Ma si tratta anche di respingere l’offensiva sul fianco sinistro, quella di Giuseppe Conte e del suo ’nuovo’ M5s sbilanciato sui temi sociali per dimostrare che, da quel punto di vista, nessuno ha le carte più in regola del Nazareno con le sue proposte: reddito di cittadinanza riformato, salario minimo, disboscamento della giungla contrattuale.

Sin qui, l’interesse a breve, in vista del 25 settembre. Resta da verificare quanto la nuova identità del Pd sia strategica e di lunga durata. Impossibile infatti dirlo con certezza: la svolta di Letta è stata sin troppo repentina. Subito dopo la caduta del governo il segretario del Pd ha ripetuto per giorni che il programma del suo partito si identificava completamente con l’agenda Draghi. Nelle more della trattativa finita malissimo con il terzo Polo aveva affermato che la coalizione con Calenda era di contenuti e di governo, mentre quella con la sinistra di Fratoianni aveva solo valenza tecnico-elettorale. La decisione di connotare il Pd come di sinistra, quasi un ritorno ai Ds dell’era D’Alema, è venuta solo dopo: insomma ha sulle spalle appena un paio di settimane, troppo poco per accreditarla senza beneficio di inventario come l’identità futuro di un partito che da quando è nato è in cerca di identità senza mai riuscire davvero a trovarla.

Ma soprattutto, resta da vedere se e quanto il partito è disposto a seguirlo su questa strada. Apertamente nessuno protesta, ma è questioni di poche settimane: il tempo di arrivare all’apertura delle urne. "Manca poco al voto: in questi giorni si sta uniti e si attaccano gli avversari", spiegano gli esponenti di ’base riformisti’. Ma sotto pelle scontentezza e irritazioni per l’uscita del leader sono palesi. L’ex capo dei senatori Pd, Andrea Marcucci, parte dall’idolo infranto: "Continuo a ritenere Blair un padre della sinistra europea: al di là di ogni altra considerazione, è un signore che ha vinto le elezioni in Inghilterra per tre volte di seguito". Va da sé che non si sta discutendo di una valutazione storica sul leader inglese, ma del futuro del Pd perchè sono molti a non volere seguire Letta su un terreno che qualcuno non esita a definire "abiura".

E del resto, il più chiaro di tutti era stato qualche settimana fa l’astro recente del blairismo 2.0: Stefano Bonaccini . "Sono di sinistra. Ho sconfitto Salvini e non c’è cosa più di sinistra di questa. Tuttavia non ho nostalgia dei Ds, non si pensi di rinchiuderci nella ridotta della sinistra. Non lascio il riformismo a Calenda". Più o meno simili le parole che rimbombano tra i riformisti: "Siamo partiti dal rivendicare il sostegno al governo di Mario Draghi fermiamoci un po’ prima di arrivare ad Amedeo Bordiga", riassume gli umori un vip riformista. Alla fine tutto dipenderà dall’esito delle elezioni. Non dalla vittoria: quella, si sa, è praticamente fuori discussione. Nemmeno dalle proporzioni: senza alleanze né con il terzo Polo né con i 5stelle le possibilità di ridurre il divario sono limitate. La vera sfida per il segretario è un’affermazione brillante, anche se minoritaria, della lista. Con un risultato estremamente positivo del partito e una coalizione vicina al 30%, nonostante la sconfitta, Letta potrà giocarsi la partita. In caso contrario il conto che gli verrà presentato sarà salato e si può scommettere che ’l’abiura’ del jobs act e l’abbattimento della statua di Bliar figureranno in cima all’elenco.