Mercoledì 24 Aprile 2024

La suora e i militari: la storia in uno scatto

Birmania, la religiosa in ginocchio davanti ai poliziotti diventa il simbolo della rivolta. Dal Vietnam al Muro, il potere della fotografia

Birmania: la suora e la polizia

Birmania: la suora e la polizia

È drammatica la foto della suora in ginocchio davanti ai poliziotti a Myanmar. Ma non è una bella foto, perché è vera. Il nostro gusto, il nostro giudizio sono guastati dalla finzione, dal cinema, dalle moderne macchine fotografiche che mutano colori, proporzioni, a piacere. La verità non è mai perfetta, ci appare inadeguata.

Tranne poche foto dovute al caso. Non all’abilità di chi le scatta. Robert Capa intitolò un suo libro Slightly out of focus, ossia ’leggermente fuori fuoco’, come tutti i suoi scatti dello sbarco in Normandia, perché fianco a fianco dei soldati rischiava la vita. E la perse dieci anni dopo, saltando su una mina in Indocina.

I giornalisti in guerra rischiano, i fotografi di più. Se la mano trema, la foto è autentica. Molte delle foto che hanno fatto la storia nell’ultimo secolo sono in posa, costruite dal fotografo, scattate anche giorni dopo l’evento. Non è un male. Alcune sono opere d’arte come i quadri ottocenteschi, smuovono gli animi, ci commuovono. Napoleone su un bianco cavallo rampante varca le Alpi nella grande tela di David. È una sintesi romantica come lo scatto di una fotocamera elettronica. Basta saperlo.

È un falso la foto dei marines che issano la bandiera a stelle e strisce a Iwo Jima. E quella del soldato dell’Armata Rossa che innalza la bandiera con falce e martello sul Reichstag a Berlino. Costruita l’immagine del piccolo Alan Kurdi, tre anni, annegato sulla spiaggia turca di Budrum, il 2 settembre 2015.

Gli esperti spiegano che portato dalle onde a riva non poteva avere quella posa. Sarà, ma l’immagine di Nilufer Demir ci colpì al cuore. Tre giorni dopo, Frau Merkel non chiuse le frontiere all’esodo dei disperati, oltre un milione in quattro mesi. Una foto storica può carpire l’anima a chi è ripreso, e a chi la scatta.

È a fuoco la foto di Capa in Sicilia nel ’43: un gigantesco soldato americano si piega sul minuscolo contadino che gli indica la via per Palermo. Poco dopo, i tedeschi fucilarono per vendetta quel vecchio siciliano. La regola è che non si dovrebbe intervenire su quel che avviene.

Ma l’8 giugno del ’72, Nick Ut riprese in Vietnam la bambina nuda ustionata dal napalm, poi smise di scattare, avvolse nella giacca Kim Phuc, nove anni, e la portò all’ospedale. Il 27 giugno del ’93, Kevin Carter riprese l’avvoltoio in attesa che muoia di fame il piccolo bambino africano. Fu insultato e accusato di cinismo, si tolse la vita poco dopo. Il bimbo si salvò.

Chi è stato testimone di un fatto storico, trova che l’immagine sia un’altra cosa. Sono nella foto di Willy Brandt in ginocchio nel ghetto di Varsavia, mi riconosco sullo sfondo. Ma la trovo statica, il Cancelliere appare in posa, eppure lo vidi da vicino, e il suo non fu un calcolo. Ed eravamo pochi, non tanti come sembra, quella mattina del settembre ’70.

È un’icona del XX secolo, la foto del Vopo giovane e agile che salta il rotolo di filo spinato a Berlino il 15 agosto del ’61. Si chiamava Conrad Schuman, 19 anni. Lo ritrovai 28 anni dopo, quando il muro cadde. Era appesantito e triste, nella sua villetta da operaio alla Audi. I figli non capivano perché cercassi il loro padre. "Non pensai che i compagni mi sparassero alle spalle, ma non si sa mai", mi disse. La foto lo aveva bloccato in quell’istante, giovane per sempre, era diventato un simbolo. Conrad si impiccò il 20 giugno del ’98. Al giovane soldato dedicarono poche righe. È sempre pericolosa una foto storica.