La sua morte segna la fine dell’impero

Cesare

De Carlo

La monarchia inglese è una monarchia in rosa, è stato scritto. Nulla di più vero. Sono state le regine a marcare le epoche storiche: l’età elisabettiana, l’età vittoriana, ancora l’età elisabettiana. Due Elisabette, come si vede. Ma che differenza! Due regine speculari. Non perché appartenessero a dinastie diverse, ma perché hanno vissuto destini opposti. La prima, Elisabetta I, la figlia di Enrico VIII e Anna Bolena, iniziò la costruzione di un impero che sotto Vittoria sarebbe arrivato a dominare 70 Stati. Mezzo mondo sventolava la Union Jack. La seconda, quattrocento anni dopo, ne ha guidato la liquidazione. L’ha fatto con realismo più che con rassegnazione, senza nostalgie, con serenità e consapevolezza. Il mondo era cambiato. E Elisabetta II ha risparmiato agli inglesi i traumi, i lutti e le umiliazioni della – per esempio – decolonizzazione francese.

Nel 1952, quando ascese al trono per la morte prematura del padre Giorgio VI, l’impero era in fase di disgregazione. Prima fu l’India a conquistare l’indipendenza, poi il Pakistan, poi il resto dell’Asia subcontinentale e l’Africa. Per un paio di secoli erano stati abbondantemente sfruttati. Erano stati la fonte di una ricchezza nata con il dominio dei mari, prima e dopo la parentesi napoleonica. Ma la seconda guerra mondiale aveva segnato uno spartiacque. Il Regno Unito era sopravvissuto a stento. Era stato costretto a un globale ridimensionamento. Di quei 70 Stati, 56 erano diventati indipendenti e avevano acconsentito a entrare in un Commonwealth. Una finzione. Elisabetta ne rimaneva Capo di Stato. Di nome e basta. Gli altri 14 sono piccole isole negli oceani. Le più grandi sono le Falkland, tremila abitanti. L’ultima ad affrancarsi è stata Barbados. Era presente il futuro Carlo III: libertà, giustizia, autodeterminazione sono il nostro impegno. Banalità, ma dovute.