La sottopolitica è quasi peggio della camorra

Pierfrancesco

De Robertis

Roma è l’unica grande capitale al mondo dove se vedi una colonna di fumo in centro storico non pensi all’Isis ma al sindaco, segno di un piano inclinato verso l’ingovernabilità che hanno trasformato la città della lupa in quella del cinghiale, o del topo. La Capitale d’Italia non è mai stata un modello di governo, ma accanto ai disservizi della grande metropoli conservava lo splendido fascino sospeso tra antico e moderno, est e ovest, nord e sud. Quello che faceva dire al romano Flaiano, "Roma è l’unica grande capitale orientale che non ha un quartiere occidentale". Roberto Gualtieri, che è stato un eccellente presidente della commissione Econ al Parlamento Ue, accusa adesso gli affaristi e ipotizza la mano della criminalità organizzata; la Raggi prima di lui tirava in ballo i "poteri forti". Ma per sfortuna di Roma il complotto non c’è, e il problema di Roma è se possibile peggiore della camorra. Se ci fosse di mezzo un "cattivo", lo Stato che ha battuto prima le Brigate rosse e poi ha arrestato Totò Riina ne verrebbe e capo.

Il punto è che Roma è vittima di un patto tra la sottopolitica locale e le piccole lobby che la alimentano, il sottosindacato ridotto a Roma a gestore di corporazioncine locali, il mostro burocratico che tutto questo ha originato. Un coacervo che ha prodotto oltre 50mila dipendenti con tassi di produttività bassissimi e altissimo assenteismo, e basta ricordare ai premi per i vigili urbani per "l’indennità di servizio in strada", alle migliaia di spazzini esentati dalla raccolta dei rifiuti perché troppo faticosa, ai premi concessi ai dipendenti che non fanno troppe assenze per malattia. Il tutto grazie ad accordi con rappresentanze locali, e adesso molto difficili da scalfire. Un circolo infernale da cui è difficilissimo uscire. Del cattivo, il sindaco di turno fa a meno, delle migliaia di voti che smuove questo mondo di mezzo, la politica non riesce a separarsi. Ammesso che lo voglia.