Venerdì 19 Aprile 2024

La sinistra confonde il voto con l’auditel

di Pierfrancesco

De Robertis

Dopo aver seguito per una settimana le prediche del festival di Sanremo e gli strabilianti risultati di audience registrati ogni sera, i dirigenti del centrodestra si erano preoccupati. La narrazione del Paese uscita dal teatro Ariston non era certo quella che speravano, o si immaginavano. I risultati di ieri hanno invece dimostrato il contrario. Evidentemente ben pochi dei tredici milioni di italiani alle urne pensa che quella nata nel ’47 sia una Costituzione così bella che non serva aggiornarla, che il Paese sia intimamente razzista e non invece interessato da singoli quanto esecrabili episodi di razzismo, che la classe dirigente al governo sia formata da tanti piccoli Hitler che hanno smesso l’orbace nazista solo da poco. Share pieno, urne vuote.

Ma il punto non è Sanremo, ormai agli archivi, quanto la rappresentazione di sé e dell’Italia che una parte della classe dirigente, in questo caso della sinistra che ieri ha perso, ha di sé stessa, e che ancora una volta si dimostra minoritaria. Quando nacque nel 2007, il Pd si presentò spiegando (testuale) di avere l’ambizione di rappresentare "la parte migliore del Paese", e in quel comparativo c’era la propria condanna. La tendenza a demonizzare l’avversario perché "peggiore", e la propensione a focalizzare il confronto soprattutto sul tema dei diritti, o pseudodiritti, civili, che per definizione sono riservati alla parte più "avanzata" (e quindi "migliore") di ogni società. Il risultato è stata la nascita di una sorta di partito radicale di massa, nel tempo di una massa sempre più piccola. Il Paese però è da un’altra parte, perché agli allarmi "democratici" o "civili" non crede, nonostante poi la settimana di Sanremo non trovi la forza di cambiare canale e si rassegni a vedere i baci fluidi di Fedez come si assiste pigri e incuriositi a quelle strane puntate dei "Giochi senza frontiere" giapponesi.