Lunedì 15 Aprile 2024

La signorina Silvani lavora da casa

I guasti dello smart working

Siamo tornati al ristorante e al bar, siamo tornati al cinema e a teatro, siamo tornati in spiaggia e in palestra, siamo tornati a riempire il centro delle città e perfino gli stadi, c’è solo un posto dove fatichiamo maledettamente a tornare: al lavoro. Un anno e passa di smart working ci ha viziati. Ci svegliamo più tardi, non dobbiamo affrontare né il traffico né il problema del parcheggio, abbiamo il bagno e il frigorifero a un paio di metri, possiamo vestirci con ’gli abiti da casa’ (chissà perché quando abbiamo un vestito che fa schifo diciamo: questo lo metto in casa) o anche stare in pigiama.

Non abbiamo più bisogno neppure di uscire per la spesa: arriva via Amazon tra una call e una mail. L’unico strumento digitale che ci richiama alla nostra vocazione di bipede è il contapassi dello smartphone. Lo consultiamo e ci dice: oggi hai fatto 628 passi. Suggerisco una modifica al programma affinché possa aggiungere: vergognati.

E chi ce lo fa fare di tornare in ufficio? Raccontiamo della temeraria richiesta del Comune di Fano: visto il crollo dei contagi e l’aumento dei vaccinati, ha convocato i dipendenti in presenza. Non sia mai, hanno risposto indignati i sindacati: evidentemente, lo smart working è un diritto non solo acquisito, ma pure perpetuo.

Ora, non c’è dubbio che la possibilità di lavorare a distanza sia stata una benedizione al tempo della pandemia e possa esser utilissima anche in futuro. I vantaggi in termini di calo di traffico e di inquinamento sono evidenti, così com’è evidente che per tante situazioni personali complesse lo smart working possa essere una soluzione. Ma quanto si perde a non vederci in faccia? Voglio dire: non solo quanto perde l’azienda in termini di produttività, ma quanto perde anche ciascun dipendente. In termini di rapporti umani, soprattutto.

Senza l’ufficio non ci sarebbe stata l’epopea di Fantozzi e nessuno di noi avrebbe potuto incontrare la sua signorina Silvani.

Lo smart working porta a essere più individualisti, viene difficile pensare all’azienda come a un ’noi’. E invece alla base di ogni successo imprenditoriale c’è sempre un gioco di squadra. Prendete la nazionale di calcio: sta volando anche senza fuoriclasse proprio perché è una squadra. È un esempio. Almeno fino a quando anche il calcio non diventerà solo un videogioco.