Mercoledì 24 Aprile 2024

La sfida interna che non giova al centrodestra

Salvini e Meloni rivali

Dopo aver passato le ultime settimane a scrivere e leggere pezzi sul possibile partito unico del centrodestra, assistiamo adesso a una guerra interna senza esclusione di colpi che porta più di un osservatore a porsi la domanda che suona in qualche modo da risposta: "Ma il centrodestra esiste ancora?". Il candidato unitario in Calabria è saltato, la Meloni mette in piedi la sua rappresaglia dopo lo sgarbo subito sulla Rai arruolando uno dei tanti transfughi azzurri che da tempo avevano bussato alla sua porta. Un orizzonte che non si preannuncia sereno per una coalizione almeno dai numeri data come avanti di gran lunga alle altre. Ma i numeri in politica non sono tutto.

I problemi del centrodestra sono iniziati nel giorno in cui fu stabilito il principio secondo il quale "chi prende più voti fa il candidato premier". Mantra ereditato dal passato, quando regnante Berlusconi si trattava di imbastire una narrazione esteriore a un principio che tutti sapevano non sarebbe mai stato messo in pratica. Il capo era lui, e basta. Non c’era bisogno di contare. La stella declinante del Cav ha però reso necessaria la contabilità, riduzione semplicistica della politica, ed ecco che dal piano dei contenuti l’attenzione ha iniziato a focalizzarsi su quello della matematica. E qui sono inziati i guai, perché tra i due principali azionisti della coalizione si è scatenata una competizione non verso l’esterno, come sarebbe stato naturale in un’ottica di "squadra", alla caccia degli indecisi, degli astenuti o di chi votava un altro partito. Per poter esercitare la golden share matematica sulla coalizione, Salvini e Meloni hanno invece scelto la strada più facile, quella di rubarsi i consensi l’un l’altro. Con il risultato che il perimetro complessivo del centrodestra non è mutato (dopo le europee del 2019 la somma dei tre partiti era di 49,1, l’ultimo sondaggio SWG di ieri dava Lega, Fd’I, Fi e Coraggio Italia al 48,4) ma la conflittualità interna e in fin dei conti la credibilità della coalizione hanno subito un colpo durissimo.

Per non incorrere in imbarazzi reciproci alle amministrative si è scelta la stada neutra dei candidati civici, si è dato vita a poco onorevoli teatrini sul Copasir o sulla Rai, per non parlare della rincorsa degli antieuropeisti alla Orban mentre l’Italia riceveva 200 miliardi di Pnrr e metà della coalizione sostiene il governo dell’ex capo della Bce. Una trama in cui i leader della coalizione sono apparsi spesso più preoccupati del sondaggio del prossimo lunedì che a immaginarsi il centrodestra di qui a tre o quattro anni. Il tutto mentre proprio quei sondaggi dicono che metà degli italiani sarebbero felici di affidargli il governo del paese. Qualcosa non torna.