Mercoledì 24 Aprile 2024

La sfida di Conte: "Crisi? Vado in Parlamento" Palazzo Chigi resiste e mette alle strette Iv

Nel discorso di fine anno nessuna concessione all’ex rottamatore. Cresce l’irritazione nel Pd con il premier. "Se si continua così salta tutto"

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di Antonella Coppari

Non lo cita mai. Però è pronto a trattare Matteo Renzi nello stesso modo in cui ha liquidato Matteo Salvini. Nella conferenza di fine anno, il presidente del Consiglio la mette giù piatta piatta: "Se verrà meno la fiducia di un partito, andrò in Parlamento". Usa toni molto più felpati rispetto a quelli riservati al suo ex vicepremier leghista, però la sostanza è la stessa: "In quel passaggio, ognuno si assumerà le sue responsabilità".

Niente concessioni a intrighi di Palazzo, se il gioco si fa duro, la crisi va ratificata con chiarezza nelle aule per verificare se c’è ancora una maggioranza. Che a quel punto, però, sarebbe basata non più su Italia viva ma su un gruppetto di eterni responsabili, ancorché Conte assicuri di non cercare alternative all’assetto attuale. E, d’altra parte, nega pure di puntare al voto, ma c’è chi sospetta che potrebbe utilizzare il nuovo quadro come trampolino di lancio per le urne, dopo aver modificato l’attuale legge elettorale, magari fissando una soglia di sbarramento alta per penalizzare Renzi, seguendo il consiglio di Bettini (Pd). Fermo restando che, se il leader di Iv facesse dimettere le sue ministre, il premier sarebbe costretto a salire al Quirinale.

Al momento, Conte non cede di un passo. Sa bene che "senza una coesione di maggioranza può solo vivacchiare", però vuole vederci chiaro, cercare di scoprire le carte di Renzi. Così, marcia imperterrito sulla sua strada, pronto a giocarsi il tutto per tutto: abbiamo di fronte una prospettiva di legislatura, scandisce. Gli ultimatum? "Non sono ammissibili", avverte prendendo in prestito una frase del leader Dc, Aldo Moro. È l’unico accenno, indiretto, che fa all’ex rottamatore: attento, peraltro, a non dire una parola di troppo sul Recovery plan che il suo acerrimo alleato potrebbe usare contro di lui.

"Finora è mancata la sintesi politica finale. Dobbiamo correre, servono corsie preferenziali per non disperdere le risorse europee: ai primi di gennaio, il Cdm deve dare il via libera al piano, che poi andrà all’esame delle Camere e delle parti sociali per arrivare a metà febbraio a Bruxelles". Epperò, nelle stesse ore in cui non solo è attentissimo a non sbilanciarsi ma ipotizza un decreto legge per la governance, esce dalle parti di Palazzo Chigi una nuova bozza di piano che – assieme al cronoprogramma – indica una linea di tendenza "lontana anni luce" dai desiderata dei renziani, che considerano provocatorio il timing.

Quanto agli altri argomenti sul tappeto, la chiusura è totale. A cominciare dall’indisponibilità a cedere la delega sui Servizi segreti: "Chi mi chiede di farlo deve spiegare perché. Non si fida del premier? Allora bisogna cambiare la legge, non mi posso liberare di questi poteri". Una posizione che semina irritazione non solo dentro Italia viva ma pure nel Pd. Non perché sia il nodo più importante tra quelli da sciogliere, ma perché è assurto negli ultimi giorni a simbolo di tutta la sua strategia. Ancora più caustica la posizione sul Mes: per la prima volta il premier afferma che "lo pagherebbero i nostri figli".

Sulla modifica della squadra, Conte è meno tassativo ma lo spiraglio che apre è strettissimo, tanto da farlo apparire come una sorta di dovere d’ufficio. "Il tema va posto dai partiti", afferma. Per poi specificare che un capitano "la sua squadra la difende in tutti i modi". E bocciare la formula dei due vicepremier: "Ha avuto scarso successo". Confronto sì, ma a certe condizioni. Convinto peraltro di aver poco da rimproverarsi: "La rappresentazione di un premier che fa finta di nulla è falsa. Ogni giorno affrontiamo problemi. Io sono a favore di un confronto franco e costante".

Insomma, dopo l’ennesima giornata di incontri e dichiarazioni pubbliche, Renzi e Conte continuano ad essere due treni lanciati uno contro l’altro sullo stesso binario. Una strategia che convince molto poco il Pd, dove sono in molti a far notare che la situazione è molto diversa rispetto a un anno e mezzo fa, e che "Renzi non è Salvini", dunque non ha senso trattarli allo stesso modo.