Giovedì 25 Aprile 2024

La Sardegna sfida i francesi "Meglio le nostre ostriche"

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ORISTANO

Si narra che Nerone sapesse dire al primo assaggio se un’ostrica provenisse dal Lucrino o dalla Britannia. A rivendicare la superiorità dei mitili nostrani rispetto a quelli provenienti dalle altre province dell’Impero era stato, circa un secolo e mezzo prima, un certo Sergio Orata, imprenditore e ingegnere romano, al quale si fa risalire la creazione dei primi allevamenti di ostriche in Campania. Una pratica che si diffonde in Francia solo a partire dalla metà dell’Ottocento quando il governo francese inviò il naturalista Maurice Coste a visitare i fiorenti allevamenti di ostriche dei Borboni per apprendere le tecniche ereditate dagli antichi Romani e applicarle lungo le coste atlantiche del suo Paese.

Accostate allo Champagne, nel tempo, le ostriche sono diventate sinonimo della cultura enogastronomica francese ma dopo il sorpasso, in termini di volumi, delle bollicine italiane ora il nostro Paese si prepara a sfidare i cugini d’Oltralpe anche sul mercato ittico, almeno sul fronte della qualità. Nato nel 2016 da un’idea dei ricercatori della Fondazione Imc - Centro marino internazionale di Oristano, in collaborazione con l’agenzia agenzia regionale Sardegna Ricerche, con il diretto coinvolgimento di 15 cooperative di pescatori (ora arrivate a 20) e di 7 partner scientifici nazionali e internazionali, il progetto Ostrinnova punta a valorizzare e potenziare la produzione di ostriche sostenibili nelle aree lagunari e costiere dell’isola attraverso il trasferimento delle competenze tecniche alle aziende in modo da spingere i pescatori sardi a dedicarsi a questa attività. Attualmente – secondo dati di Sardegna Ricerche – l’ostricoltura nella Regione sfrutta solo 500 ettari della superficie disponibile. Quanto basta per sviluppare il 60% della produzione nazionale considerando, tuttavia, che l’Italia è ultima in Europa dove, in un quadro dominato dall’85% della Francia, contribuisce allo 0,03% delle circa 90mila tonnellate di produzione. "L’obiettivo del progetto – spiega Paolo Mossone, direttore Fondazione Imc – è valutare il potenziale di questa attività e capire quanto si può produrre e dove lo si può fare. La differenza vera la fa chi produce e il modo in cui lo fa".

Nella prima fase del programma è stata avviata la sperimentazione dell’allevamento della Crassostrea gigas, l’ostrica concava, prodotta in tre aree lagunari pilota: San Teodoro (Sassari), Stagno di Tortolì (Nuoro) e Santa Gilla (Cagliari). Partita da pochi mesi, la seconda fase è, invece, volta a studiare le potenzialità produttive della più pregiata e costosa ostrica piatta (Ostrea edulis). "Abbiamo avuto produzioni – evidenzia Mossone – che hanno raggiunto alti livelli qualitativi. Rispetto all’Oceano Atlantico, dove crescono le ostriche francesi, la laguna è, inoltre, più produttiva: abbiamo meno spazio ma da noi ciclo di produzione è minore". Se sul fronte della qualità le ostriche sarde non hanno nulla da invidiare alle francesi il progetto lascia intravedere anche interessanti margini di espansione. Chapeau.

Giulia Prosperetti