La rivoluzione digitale resta una chimera

Raffaele

Marmo

era una volta il modulo per chiedere i moduli: era la burocrazia mefistofelica del Novecento di carta e di timbri, quella dei moduli fiscali lunari e delle fotocopie che producevano altre fotocopie. Oggi siamo nel mondo del cloud, del digitale spinto, della dematerializzazione dei documenti, dei wallet sullo smatphone. Ma se vi capita di perdere un portafogli pieno di tesserini identificativi, vi accorgerete che precipitare nell’inferno kafkiano di un mondo senza uscite è proprio un attimo. Lasciamo stare che la denuncia di smarrimento va fatta sempre di presenza, con deposizione, firme e timbri. Ma fin qui può anche essere accettabile. Il peggio, d’altra parte viene dopo. Per esperienza personale, si può dire che chiedere il rilascio di una nuova carta di identità elettronica è una impresa titanica, nella quale le procedure online non eliminano quelle cartacee, semplicemente le raddoppiano, con una dilatazione dei tempi che non conosce limiti. Per capirci, è inutile rivolgersi al tradizionale sportello del Comune o del municipio: si viene rimandati a una piattaforma-agenda alla quale ci si deve iscrivere con tanto di nome utente, password, domanda segreta, verifica via mail. Una volta ottenute le credenziali, si può tentare di ottenere un appuntamento fisico per presentare i documenti e avviare la procedura di rilascio: peccato che a Roma, gli appuntamenti sono a cinque-sei mesi, a seconda degli uffici. Ma anche quando si sarà raggiunta la meta allo sportello, la carta sarà ancora una chimera: si dovranno attendere altri mesi per andare a ritirare, con un pezzo di Pin che arriverà successivamente per posta a casa. Alla fine della giostra, però, si avrà in mano una Ferrari con la quale viaggiare spediti lungo le reti della Pa digitale? Neanche per idea: sono pochissime le amministrazioni con servizi digitali a pieno regime. Ma allora non era meglio la santa, vecchia, carta di identità cartacea?