Mercoledì 24 Aprile 2024

La riforma federale Meloni frena Calderoli "Non c’è autonomia senza presidenzialismo"

Il ministro fa buon viso: "Il mio testo? Sono semplici appunti". Sud in rivolta per la misura che lega i finanziamenti alla spesa. Fratelli d’Italia e azzurri ora spingono per cambiare la norma

Migration

di Antonella Coppari

La forzatura di Calderoli non poteva passare, e il primo a saperlo era proprio lui. Perché nel programma del centrodestra tutto si tiene: l’autonomia deve andare a braccetto con il presidenzialismo e, già che si tratta di norme per il territorio nazionale, anche delle prerogative di Roma capitale. Dopo la rivolta dei governatori del Sud (quelli del Pd i più feroci), il titolare degli Affari regionali chiarisce la situazione in una riunione a Montecitorio con la premier (cui partecipano anche i due vice, Tajani e Salvini, e i ministri Lollobrigida e Fitto, quest’ultimo in collegamento da Bruxelles). All’uscita, Calderoli derubrica la sua proposta a "semplici appunti" e avverte: "Devo vedere ancora sei governatori, tra cui De Luca". Ma in questi appunti c’è la vera pietra dello scandalo: la spesa storica, in concreto i finanziamenti calibrati su quanto speso in precedenza dalle singole regioni.

Una misura che, secondo le regioni del Sud, renderebbe eterno e immodificabile l’enorme scarto tra le regioni ricche che hanno largheggiato e sono tutte a Settentrione, e quelle che storicamente hanno potuto spendere ben poco, naturalmente concentrate nel Meridione. L’altro scoglio sono i Lep, i livelli essenziali di prestazione: passaggio determinante perché fissa il minimo indispensabile. Le regioni chiedono che siano fissate dopo la definizione dell’autonomia differenziata, il ministro invece vuole tagliare corto: "Dopo 21 anni, è il momento di definirli".

Per ora a richiedere la piena autonomia, ovvero la competenza sulle 23 materie disponibili, sono Veneto, Lombardia e Piemonte. La Liguria di Toti invece pensa alla potestà sui porti, il governatore toscano Giani punta su Beni culturali e Geotermia. L’Emilia-Romagna aveva messo nel mirino 12 competenze, anche se ora il governatore Bonaccini frena: "Serve una legge cornice, ed è necessario coinvolgere il Parlamento". Una sterzata che dipende probabilmente dai giochi di potere interni al Pd. Per rientrare in campo contro la sua ex vice Schlein, sponsorizzata dall’eminenza grigia Franceschini, ha bisogno del sostegno di De Luca ed Emiliano, governatori della Campania e della Puglia che sono i più fieri avversari dell’autonomia modello Calderoli, e non potrebbero appoggiare un candidato "troppo" autonomista.

L’incidente è chiuso solo per modo di dire. L’autonomia è una questione che lacera da sempre la politica, non solo tra partiti ma anche al loro interno perché la linea di confine passa per la geografia. E in discussione non ci sono principi ideologici ma quattrini sonanti. Resta da chiedersi perché Calderoli, che tutto è tranne ingenuo, abbia deciso una simile forzatura. In parte pesa l’esigenza di visibilità che caratterizza ogni passo dei dirigenti leghisti, ancora di più incidono le elezioni imminenti in Lombardia, la regione più importante per il Carroccio. Il sorpasso di FdI brucia, e lì l’autonomia è questione di primissima linea. Calderoli ha voluto ricordare ai lombardi chi difende i loro interessi e probabilmente la resistenza di FdI e Forza Italia da questo punto di vista non gli è sgradita.

Sul tavolo però c’è di più: Giorgia sa di dover pagare alla Lega il debito contratto sull’autonomia, intende però affrontare la faccenda in un quadro generale, abbinandola al presidenzialismo (che richiede una legge costituzionale, mentre l’autonomia ordinaria) e rendendola oggetto di una vasta discussione, grazie alla quale stemperare le proposte più estreme, in concreto quella spesa storica che è il vero oggetto del contendere, con FI e FdI pronti alle modifiche. Calderoli, d’accordo con Salvini, ha dunque lanciato un messaggio preciso: l’autonomia è la principale bandiera, il Carroccio non può arretrare più di tanto, e la riforma, al palo da anni, deve arrivare entro il 2023, in modo che per il 2025 sia a regime. Ma se c’è un tema su cui trovare l’accordo per la maggioranza sarà difficile è questo. Perché la Lega, anche quando nel 2018 sembrava aver conquistato il Sud, è rimasta un partito dal dna nordico. Mentre FdI, malgrado i voti in Settentrione, resta un partito con le radici affondate nelle terre del Sud e del Centro. E per centro si intende il meridionale Lazio, non la nordica Emilia-Romagna.