Mercoledì 24 Aprile 2024

La ricostruzione fra ritardi e paesi svuotati

Flavio

Nardini

A sei anni dal terremoto nel Centro Italia ci sono alcuni numeri che dovrebbero far riflettere. Più dei ritardi, più delle false promesse, più dei soliti ritornelli ormai stonati. Dal 2016 ad oggi Arquata ha perso il 17% degli abitanti (erano 1.187, sono 985), Accumoli il 16,7% (da 655 a 546), Amatrice il 13,3% (da 2.639 a 2.289). I piccoli borghi devastati dalle terribili scosse che nel giro di pochi mesi si portarano via tutto, vite e case, stanno pian piano scomparendo.

È il triste destino di un pezzo d’Italia lasciato indietro nonostante fiumi di parole, governi che si sono passati invano il testimone, lasciando soli amministratori locali impotenti e cittadini spaesati. E adesso che, dalle Marche al Lazio, qualcosa si sta finalmente muovendo, i paesi scoprono i cantieri ma faticano ad avere grandi speranze: nelle casette ci sono ancora troppe persone che tremano al pensiero dell’inverno di restrizioni e freddo in arrivo, troppi punti interrogativi. La voglia di lottare ha lasciato il posto alla rassegnazione, anche se la gente di montagna è abituata a far fronte alle difficoltà, lavorare a testa bassa e ripartire.

Il treno della ricostruzione era già partito in ritardo, poi ha dovuto far fronte a due fermate brusche, inaspettate. Prima la pandemia, poi il Superbonus, con la maggior parte delle ditte che ha preferito andare a lavorare altrove, dove i guadagni erano maggiori, invece di sporcarsi le mani nel post sisma. Ed ora che il treno sembra ripartito ci accorgiamo che all’arrivo rischia di non trovare nessuno. La missione vera non è soltanto ricostruire cose, bisogna ripartire dal lato umano: Accumoli, Amatrice, Arquata e tanti piccoli paesini hanno prima di tutto necessità di persone. Per rinascere dalle macerie del sisma serve la vita.