Venerdì 19 Aprile 2024

La rabbia in Cina "Xi Jinping, dimettiti" La prima vera rivolta dopo piazza Tienanmen

Il risentimento per i continui lockdown tocca il partito comunista . Slogan per la libertà nelle strade di Pechino, Shangai, Nanchino e Wuhan

di Cesare De Carlo

Chiamatela come volete, legge del taglione (Seneca) o legge del contrappasso (Dante). La protesta popolare per il Covid in quella stessa Cina comunista dalla quale tre anni fa partì il Covid (ancora non si sa come) suona a conferma dei paradossi retorici. Forse non porterà a clamorosi rivolgimenti di regime. Quello cinese oggi è più solido e pervasivo di quanto non fosse trentatré anni fa. Il cittadino è un suddito digitale, controllato in mille maniere dall’intelligenza artificiale. E dunque è improbabile se non impossibile una riedizione della rivolta di piazza Tienanmen. Ricordate? Giugno 1989, gli studenti di Pechino chiedevano libertà e cercavano di fermare con le mani i carri armati della repressione.

CONTRO IL PRESIDENTE

DITTATORE

Eppure quel che sta accadendo in alcune città cinesi appare sensazionale. I manifestanti non ce l’hanno solo con la “tolleranza zero“ di Xi Jinping. Ce l’hanno anche con lui, il presidente dittatore. E per la prima volta da 33 anni a questa parte nelle strade di Pechino, Shangai, Nanchino, Chengdu, Wuhan, da dove provenne il virus che provocò sei milioni di morti nel mondo, per la prima volta dunque – notano i sinologi con emozione – sono risuonati slogan inneggianti alla libertà. A Shangai veniva intonato il coro del musical Les Misérables: "Senti il Popolo Cantare?". Era rivolto a Xi di cui – altro particolare inaudito – si chiedevano le dimissioni. E lui nella sua onnipotenza totalitaria non può non averlo sentito. E non potrà non essersi stupito per l’escalation di una protesta che dalle restrizioni anti Covid si allarga ai diritti civili. "Una cosa del genere non accade da piazza Tienanmen – dice Yanzhong Huang del Council on Foreign Relations di Washington –. I sentimenti della folla mi riportano al giugno del 1989". Sentimenti e risentimenti: non più solo contro i lockdown che "imprigionano la popolazione nelle case ma anche contro l’intero partito comunista".

CARBONIZZATI

PER LE RESTRIZIONI

Il Wall Street Journal fa circolare alcuni video verificati da Storyful, social media di proprietà della News Corporation. Uno riguarda il tragico incendio di Urumqi, che è la capitale della remota regione dello Xinjiang, abitata dalla perseguitata minoranza musulmana uigura. I vigili del fuoco arrivarono in ritardo perché la burocrazia della tolleranza zero non aveva dato il permesso di transito. E intanto nell’edificio bloccato dall’esterno morivano carbonizzate dodici persone. La protesta si era accesa durante i funerali. Non solo fiori e preghiere ma anche rabbia politica. La stessa rabbia che ieri si è manifestata nei campus dell’università di Pechino e dell’elitaria Università Tsinghua.

DAL COMUNISMO

AL CONSUMISMO

Centinaia, forse migliaia (chi potrà mai saperlo?) i partecipanti, nota il Washington Post. Ma la grande novità è un’altra, come già detto. Per la prima volta da Tienanmen i giovani cinesi sembrano avere riscoperto il primato della libertà. Lo avevano tenuto soffocato per tre decenni, sostituendo il consumismo al comunismo. Il regime li aveva anestetizzati, secondo le raccomandazioni di Deng Xiaoping, il gran teorico della via cinese al capitalismo. Ma il Covid, con cui la Cina ha messo in ginocchio l’Occidente, sembra averli svegliati. Chi di spada ferisce, di spada (può) perire.