Mercoledì 24 Aprile 2024

La protesta dilaga: lo sport Usa si ferma Il killer 17enne è un fanatico delle armi

Wisconsin, l’arrestato per l’omicidio dei due manifestanti era in strada col fucile: "Noi, la milizia in difesa della proprietà privata". Le stelle di basket, calcio, baseball e tennis non scendono in campo. Poi annunciano: "Torniamo a giocare, ma ora si cambi".

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di Giampaolo Pioli

Sono tutti giganti, miliardari, più popolari di ogni presidente, ma hanno sempre parlato poco. Lo sport per loro è sempre stato al di sopra della politica. Semmai un ponte per ridurre le differenze. Ma adesso il mondo americano dei ricchissimi atleti professionsiti, dal basket al tennis, dal calcio al baseball, rappresentato per due terzi da stelle di colore, sembra voler dire basta: "Non giochiamo, ma parliamo. Siamo stanchi di questa situazione d’ingiustizia". I playoff Nba che si svolgono a Orlando, in Florida, almeno per due notti si sono completamente fermati. Atleti, allenatori e arbitri, invece di scendere in campo hanno marciato fuori dagli stadi. L’eco della loro protesta ha superato le convention democratica e repubblicana che Trump ha chiuso ieri sera. "Ormai l’Nba è un’organizzazione politica", ha tuonato il tycoon.

L’effetto del boicottaggio, però, è stato quello di un’atomica. Quando mercoledì i Milwaukee Bucks sono rimasti negli spogliatoi e non sono scesi in campo contro gli Orlando Magic, l’effetto è stato deflagrante. La protesta silenziosa dei campioni del canestro che non erano stati così visibili dopo l’uccisione di George Floyd col il ferimento con sette colpi di pistola alla schiena di Jacob Blake, a Kenosha in Wisconsin, è diventata adesso un detonatore potentissimo. Il messaggio penetra in fretta. "Sostengo le persone che sono in strada a protestare", afferma la candidata democratica alla vicepresidenza Kamala Harris, secondo cui il caso

Blake "è una ferita all’anima di questo Paese". "Ora – aggiunge – è il momento di agire sull’ingiustizia razziale". LeBron James, la star dei Lakers, anche loro impegnati nei Playoff, è diventato subito il volto della protesta con un tweet: "Sono stanco di tutto questo, abbiamo paura per i nostri figli. Questa situazione deve finire: anche le vite dei neri devono contare. La scritta sulle nostre magliette Black Lives Matters non basta più". La reazione di LeBron e il boicottaggio hanno innescato una razione a catena anche negli altri team. E nel mondo del calcio Usa dove i giocatori dell’Inter Miami e dell’Atlanta United pronti a scendere in campo con le mascherine a Fort Lauderdale sono rientrati negli spogliatoi per dar voce alla grande protesta dello sport. Il gesto non ha precedenti nella storia. Viene paragonato al pugno di Smith alle Olimpiadi di Berlino alla voce di Cassius Clay contro la guerra in Vietman. La forza del boicottaggio Nba così come inginocchiarsi all’inno nazionale stanno avendo una forza di penetrazione immensa come una vera rivoluzione nello sport. Proseguono intanto le indagini sul caso, scoppiato dopo una telefonata alla polizia per una disputa domestica. Ma gli inquirenti non hanno ancora spiegato perché l’agente Rusten Sheskey, in servizio da sette anni, ha sparato sette colpi alla schiena dopo gli inutili tentativi di fermare Blake col taser. "Aveva ammesso di avere un coltello", spiegano, ma è stato ritrovato dopo sotto il pianale della vettura.

Due agenti coinvolti sono stati sospesi ma per ora non incriminati, mentre il dipartimento di Giustizia ha avviato un’indagine parallela condotta dall’Fbi sulla violazione dei diritti civili. Molti gli interrogativi anche su Kyle Rittenhouse, il 17enne arrestato per gli omicidi dei due manifestanti neri alle proteste. I suoi profili social lo identificano come un fan delle armi e delle forze dell’ordine, che aveva partecipato a un comizio di Trump in gennaio e che si considerava un membro di una milizia votata a proteggere la proprietà.