Mercoledì 24 Aprile 2024

La prima premier? Non basta per la svolta

di Laura

Boella

L’articolo di Natalia Aspesi sul “fattore donna” nell’attuale campagna elettorale ha sollevato un bel vento e un po’ di polvere. Non si tratta di un temporale estivo, nemmeno di quelli che buttano giù gli alberi, ma direi di qualcosa di esplosivo. Nella politica italiana ci si ricorda che le donne esistono, spesso però solo come “problema” da affiancare alla disoccupazione, all’aumento dei prezzi, alla carenza di servizi sociali o come percentuale in una delle tante statistiche.

L’esistenza reale delle donne pensanti (votanti o non votanti) è invece esplosa grazie al manifesto diffuso in rete che invita a costruire un "orizzonte politico comune a donne di tutti i partiti". Le autrici del testo fanno appello a un movimento trasversale di donne di diverse condizioni, opinioni, appartenenze. Appello subito scambiato per un invito a pronunciarsi solo pro o contro il femminismo e pro o contro Meloni.

Ma l’idea di una “politica prima”, indipendente da ideologie e schieramenti di partito, che nasce da pratiche concrete, forme di vita, di relazione e attività professionali che immettono nel tessuto sociale pensieri e parole nuove costituisce uno dei tesori non ancora perduti del pensiero femminile. Persino la storia italiana recente ha conosciuto esempi di azione politica in Parlamento (non sulla luna) portata avanti da donne di provenienza politica diversa sui temi della famiglia, del lavoro della salute, della cura, dei tempi della politica e della vita. L’idea di una politica delle donne che non si assesta sul piano partitico è importante perché è nutrita dalla convinzione che nelle discriminazioni, nelle disparità di trattamento, nella violenza che colpisce le donne si misura il livello umano di una società e ne va del passaggio d’epoca che stiamo vivendo, della vulnerabilità di uomini, donne, bambini, giovani e anziani, dell’ambiente naturale che ci circonda venuta in primo piano con la pandemia e la guerra. Ne va della vivibilità del mondo attuale e della terra su cui poggiamo i piedi. Non è un caso se durante la pandemia è emersa la proposta di una società della cura, fondamento di una nuova convivenza.

Questi contenuti non azzerano certo le differenze. Al contrario, rappresentano la principale discriminante non solo rispetto agli uomini, ma anche alle donne che fanno politica. Nessuna corre da sola o legittimata unicamente dal mito (per me falso) della “prima donna”. Se una donna ci crede perché ha raggiunto con le proprie forze la posizione di leader, dovrebbe chiedersi se la sua autorità è sostenuta principalmente dalle idee, progetti e rituali di una corte di uomini oppure dalle esperienze di altre donne. Questo è il mio punto di vista sulla leadership di Giorgia Meloni.