Quirinale: la politica scappa, Mattarella no. "Accetto per senso di responsabilità"

Dopo giorni inconcludenti, l’unica via d’uscita è la rielezione del presidente in carica. Mandato pieno di 7 anni

La foto è la stessa, ma il passo è diverso. Nel 2013 i leader percorsero di filata la salita di via della Dataria, entrarono al Quirinale scuri in volto e ne uscirono poco dopo guardandosi un po’ smarriti intorno. Facce allegre poche. L’avevano fatta bella un po’ tutti, appena schiantato in aula l’ex presidente del Senato Franco Marini, un galantuomo, e l’ex presidente della Commissione europea Romano Prodi. Stavolta arrivano invece con l’aria di chi il pericolo l’ha appena scampato, per un motivo o per l’altro, e più di un sorriso ci scappa. Ma stavolta non si rendono conto di quello che hanno combinato, e d’altra parte è inutile chiedere a chi è parte del problema di esserne anche la soluzione. Non sono riusciti ad accordarsi tra loro, cioè a fare politica, e salgono al Quirinale per chiedere al presidente Mattarella di restare per un altro giro. Mattarella che è persona intelligente, conosce la politica meglio di chiunque di loro, capisce che non si può attendere ancora. Non serve aspettare altri sacrifici umani e istituzionali sull’altare di quella coerenza costituzionale che pure potrebbe rivendicare, e che più che inutile, dare altro tempo al parlamento e ai suoi non leader, potrebbe essere dannoso.

Presidente della Repubblica, bis di Sergio Mattarella: rieletto al Colle con 759 voti

Avendo mostrato incapacità di sintesi politica, concedere altre chanches avrebbe potuto portare solo guai. Va a finire che pur di fare qualcosa combinano un disastro, tipo mandare al Quirinale qualcuno preso più o meno a caso dalla società civile solo perché "nuovo", una donna purché sia, solo perché è donna (Salvini aveva avuto la faccia tosta di dire "donna, ma anche brava": pensa te), o continuare a bruciare nomi di delicati apparati dello Stato, come stava continuando a fare il duo Salvini-Conte. Mattarella attende che tutte le opzioni sul campo si esauriscano, compresa la rinuncia che Pier Ferdinando Casini mette sul piatto con grande senso delle istituzioni, e dopo un colloquio con Mario Draghi decide che non si può aspettare ancora.

C’è da mettere in sicurezza il Paese, e nella situazione data, ossia con la classe politica data, la sicurezza è la stabilità. Sa molto di insuccesso generale, ma questo è. Quindi Mattarella al Quirinale e Draghi a palazzo Chigi. Così all’inizio della mattina il capo dello Stato fa sapere informalmente che è disposto ad accettare un secondo mandato. Pone poche condizioni – un mandato non a tempo, una rielezione più possibile plebiscitaria (come otterrà: sarà il più votato dopo Pertini) più il tenerissimo dettaglio personale di poter dormire nella sua nuova casa dei Parioli – che i partiti accettano subito. Sono messi così male che avrebbero firmato qualsiasi capitolazione.

Fine dei giochi, è l’ora della responsabilità. E quando i due presidenti della Camere alle nove e passa di sera salgono al Quirinale per comunicargli quello che già sapeva, Mattarella agisce per sottrazione, usa il suo solito registro schivo, concreto, quello che ha fatto innamorare gli italiani altrimenti abituati a politici che straparlano, quasi sempre a caso, e si limita all’essenziale. In quell’essenziale c’è tutto il senso di una scelta dolorosa ma non difficile, perché quando il Paese ha bisogno non ci si tira indietro. Mattarella accenna ai diversi programmi che si era fatto per il futuro, e spiega che in questi momenti deve prevalere il senso di responsabilità e lo sguardo al bene comune. Proprio quello che i partiti e i loro leader in formato mignon non hanno mostrato. "Le condizioni difficili in cui si trova il Paese impongono di non sottrarsi ai doveri cui si è chiamati e naturalmente devono prevalere su altre considerazioni e prospettive personali differenti". Basta così, chi doveva capire ha capito, e il resto lo dirà giovedì prossimo nel discorso di insediamento alle Camere.

Erano d’altra parte alcuni giorni che il presidente della Repubblica aveva compreso l’andazzo, e si stava pian piano rendendo conto della situazione. E di fronte allo sfascio del sistema e di chi lo regge non ha potuto quindi sottrarsi. E non è una frase fatta. Lui e i suoi collaboratori veramente non avevano voglia di restare un giorno in più al Quirinale. I continui richiami alla fine del settennato, i traslochi esibiti a ripetizione erano dei messaggi chiari, ma non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire. O non può sentire. Mattarella aveva messo sul tappeto argomenti dotti, tipo il vulnus costituzionale a cui si sarebbe andati incontro perpetuando l’eccezione del doppio mandato. Ma niente, il rischio di default istituzionale, come nove anni fa, era molto concreto. E quindi la scelta è apparsa naturale, forse più facile previsto. Facile perché obbligata.