Giovedì 18 Aprile 2024

La patente di normalità che mancava

Gabriele

Canè

Alla fine, in un mondo lacerato, che sanguina, ringhia, balbetta, l’Italia si scopre un paese normale. Forse dal colle del Quirinale le cose si possono vedere in modo più nitido, distaccato. O più probabilmente è la saggezza di Mattarella ad essersi ulteriormente consolidata, ma sta di fatto che nel suo ottavo discorso di fine anno, il Presidente della Repubblica ha tirato una riga salutare sulle nostre vicende politiche. E lo ha fatto, non a caso, alle prime battute del suo discorso, come il primo violino che dà il La per accordare gli strumenti e cominciare l’esecuzione: in questi anni praticamente tutti i partiti hanno governato, adesso tocca a quelli che alle elezioni hanno riportato una vittoria netta, e in più abbiamo anche per la prima volta una donna a Palazzo Chigi. Dunque, la democrazia ha funzionato, l’alternanza è garantita, nessuna minaccia si staglia all’orizzonte. Come in un paese normale, appunto. Più di tanti altri, con Giorgia Meloni a capo dell’esecutivo appoggiata da una maggioranza ampia, e con un’opposizione legittimata a fare il proprio mestiere. Del resto, in un’epoca in cui non stupisce la convivenza di due Papi, con Benedetto che si è spento poche ore prima che Mattarella parlasse dal Quirinale; in un anno cominciato con la riconferma dello stesso Mattarella, prassi inaugurata con Napolitano; in un 2022 di elezioni, tanto era fisiologica l’animosità della campagna elettorale, quanto è necessaria la serietà, l’equilibrio del dopo. Essere normali, però, non significa essere perfetti. Anzi. L’Italia, infatti, non lo è. Perché la Repubblica è di chi paga le tasse e affondata dall’evasione. Non lo è per i tanti giovani che muoiono sulle strade. Non lo è anche il mondo ferito dalla guerra, dalla crisi, dalla pandemia. Matasse che si intrecciano. Essere normali, coraggiosi, propositivi, può aiutare a trovare il bandolo. Mattarella, dal Colle, ci ha aiutato a cercarlo.