Martedì 23 Aprile 2024

La parabola di Conte (e di tutti noi)

Michele

Brambilla

Che ne sarà, da ora in poi, dell’uomo che svegliò gli italiani alle due di notte per comunicare loro a reti unificate che l’ora era buia? E che poi per mesi ci avrebbe fatto compagnia a cena per rassicurarci, per dirci che si sarebbe preso cura di noi? A lungo l’abbiamo visto e rivisto, sempre nello stesso filmato ossessivamente ripetuto, mentre camminava nei corridoi di Palazzo Chigi con una qualche cartelletta sotto braccio, e poi alla scrivania in maniche di camicia: mentre leggeva, prendeva appunti, firmava.

I sondaggi l’hanno dato al massimo del gradimento, e addirittura un suo possibile partito personale veniva stimato, fino a pochi giorni fa, attorno al quindici, sedici per cento. Ed era tutto vero. Ieri.

Ma domani? E dopodomani? Forse già a metà della prossima settimana, quando tutti i riflettori saranno puntati su Mario Draghi, che incasserà alle Camere la più ampia fiducia della storia repubblicana, di Giuseppe Conte resterà soltanto un’impressione che ricorderemo appena. In una delle sue impareggiabili vignette, intitolata “Sinceri auguri”, Giuseppe Novello raffigurò "il rag. Lovisetti, capo del personale della Società", mentre "si accinge a rispondere ai biglietti di augurio per il capodanno 1937". Il suo tavolo è colmo di missive. Subito sotto, lo stesso "rag. Lovisetti, in pensione dallo scorso dicembre, si accinge a rispondere ai biglietti di augurio del capodanno 1938". Sul tavolo, i biglietti sono quattro o cinque.

Giuseppe Conte ha scritto ieri che ora torna "semplice cittadino". Gli auguriamo di riuscirci con serenità. Ma perdere il successo non è facile, specie per chi lo assapora non più giovane, e all’improvviso.

La sua parabola è però quella di tutti noi: ossequiati e riveriti fin che serviamo a qualcuno: e poi dimenticati quando passa la gloria di questo mondo, piccola o grande che sia.