"La nuova Codogno siamo noi, aiutateci". Monza è assediata dall'emergenza virus

All’ospedale San Gerardo si contano 450 pazienti Covid su 600 posti disponibili. Personale insufficiente: 340 tra medici e infermieri positivi

Il pronto soccorso dell’ospedale San Gerardo di Monza (ImagoE)

Il pronto soccorso dell’ospedale San Gerardo di Monza (ImagoE)

"In questo momento Codogno siamo noi e abbiamo bisogno della stessa attenzione che abbiamo dato noi in Fase uno agli altri". Ospedale San Gerardo di Monza, zona rossa della seconda ondata di contagi. In una provincia di 850mila abitanti che nelle ultime 24 ore ha registrato 874 nuovi positivi, 37 in più della città di Milano che conta oltre 1,3 milioni di residenti. Il direttore generale Mario Alparone deve fare i conti con 450 pazienti Covid su 600 posti letto disponibili. Un centinaio quelli di terapia intensiva, quasi la metà sono già occupati. Ma quello che più preoccupa sono i 340 tra medici e infermieri costretti a casa. Contagiati. E i 110 operatori sanitari assunti sono "una goccia in confronto ad un esercito fermo".

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Lo scenario nelle corsie del San Gerardo è drammatico. Il rapporto infermieri-pazienti sta peggiorando: uno da solo deve seguire 10 malati con il ‘casco C-pap’, mentre in terapia intensiva si è passati da un infermiere per due ricoverati a un sanitario per tre, avendo dovuto pure inviare rinforzi all’ospedale della Fiera di Milano dove l’Asst di Monza ha in carico 10 posti letto. "Qui siamo stremati, nel giro di un mese siamo entrati in emergenza totale – la stanchezza di Davide Scorzelli, infermiere in terapia intensiva e sindacalista Usb –-. Ogni previsione, ogni schema è saltato". Ormai il San Gerardo è un ospedale totalmente Covid. Per ora sono rimasti ‘puliti’ soltanto i settori periferici del monoblocco. Anche il quarto piano della Palazzina Accoglienza (che ospita gli ambulatori dei day hospital e il Cup) è stato riconvertito a reparto di terapia intensiva e semintensiva. I numeri dei ricoveri, al momento, sono più bassi: a marzo il San Gerardo è arrivato ad avere 600 pazienti e 97 in rianimazione, ma oltre la metà arrivava da fuori provincia, da Codogno e da Bergamo. "Abbiamo bisogno di tirare il fiato", la richiesta di un altro infermiere in prima linea. Appena finito il turno, si trascina con passo lento verso la macchina. L’ha parcheggiata volutamente un po’ più distante del solito: "Dopo ore chiusi dentro le tute, con la mascherina e tutte le protezioni utilizzabili hai il bisogno fisico di camminare e respirare l’aria all’aperto". Perché "quando sei là dentro devi pensare soltanto ai pazienti. Chi ha il ‘casco’ è sveglio e ti parla guardandoti fisso negli occhi con espressioni che ti porti anche a casa". Alle sue spalle lascia un ospedale semideserto. I corridoi sono vuoti. Ogni tanto vedi passare anche i volontari della protezione civile che sono tornati a fare da ponte tra i pazienti e i loro parenti: "Adesso sto portando il telefonino a un ragazzo di 25 anni che dopo qualche giorno di terapia intensiva fortunatamente non è più intubato e potrà tornare almeno a vedere e parlare con la sua famiglia", racconta un volontario prima di arrivare alla porta che separa il mondo Covid-free dai percorsi cosiddetti ‘sporchi’. Lì ci entrano soltanto medici, infermieri e gli operatori socio-sanitari. Dopo aver attraversato stanze-filtro arrivano ai letti dei pazienti.

"È dura – lo sfogo di Scorzelli –. A tanti colleghi è balenato per la testa il pensiero di mollare, di licenziarsi, perché il carico da sopportare, sia fisico sia psicologico è enorme. Poi, però, stringi i denti e vai avanti. Anche se sappiamo bene che questa seconda ondata sarà più lunga della prima". "Occuparsi del bene delle persone spesso sacrificando il proprio tempo libero, la famiglia, gli affetti, non è per tutti – l’orgoglio di una operatrice socio-sanitaria –. Ogni giorno è una lotta contro il tempo, ogni giorno lottiamo per dare il massimo ed essere migliori, perché alla fine non c’è niente di più bello di un sorriso di gratitudine di chi è stato meno fortunato". Ma "da soli non ce la possiamo più fare". Il prefetto di Monza Patrizia Palmisani ha chiesto al ministero della Difesa l’invio di rinforzi di medici e infermieri dell’Esercito. Da domenica il pronto soccorso dirotta i pazienti non gravi al Check point clinico avanzato attivato dall’Agenzia regionale emergenza e urgenza in via Novara a Milano. Da ieri ne è stato allestito uno anche all’autodromo di Monza, tra la pista e il centro medico del circuito. Operativo dalle 7 alle 19, è già un viavai di ambulanze che poi portano i pazienti fuori provincia. Al San Gerardo restano soltanto i casi più gravi. In quei reparti avvolti da un "silenzio spettrale e inquietante" dove "servono disperatamente braccia per poter curare tutti".

 

 

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