La nostra storia a 360 ruote Quando l’Italia inventò lo scooter

Oggi all’asta da Bolaffi 180 modelli di moto che hanno segnato la società dal Dopoguerra in poi. Non solo Vespa o Lambretta: protagoniste le creazioni di artigiani esposte anche al Moma di New York

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di Massimo Cutò

Quelli nati a cavallo del ‘60 non vedevano l’ora di compiere 14 anni, che permettevano l’accesso ai film vietati ai minori (non tutti, la libertà arrivava per gradi: 16 anni e poi 18). Ma soprattutto mettevano nel mirino il cinquantino. Trattativa estenuante e famiglie spaccate a tavola, fra i lo voglio e i te lo scordi. "Troppo pericoloso", era la parola d’ordine dei genitori negazionisti. Solo la pagella squarciava la melina: guardate che voti, merito un premio. E il premio sarebbe arrivato rombando sotto casa. A quel punto due erano le possibilità. I più ricchi (la media borghesia) ottenevano il motorino nuovo di zecca, gli altri si accontentavano di un seconda mano recuperato dal meccanico amico. Odore di grasso, macchie d’olio, candele di scorta: un’avventura con la marmitta truccata che pareva una mitragliatrice. Il rumore piaceva alle ragazze. Il sabato, finita la scuola, di corsa davanti alla tivù per Oggi le comiche, pranzo flash e subito in strada. Non servivano patente e casco. Si partiva in comitiva a velocità ridotta per il rodaggio: un po’ di chilometri a sciogliere il motore, in attesa del tagliando.

C’era una distinzione. Vespisti e lambrettisti in prima fila, a metà le compagne di classe sul Lui (nessuna rivendicava la parità di genere nei nomi), più indietro i fighetti con il modello Elestart: niente pedale d’avviamento ma una chiavetta d’accensione – come le auto – anti-ingolfo. Era un viaggio iniziatico generazionale. I maschi scafati guidavano disinvolti. Gli imbranati temevano i binari del tram e il semaforo: il freno andava tirato assieme alla frizione, prima di mettere in folle, ma loro non lo sapevano. I più furbi caricavano sul sedile la bella del gruppo ("tieniti stretta a me sennò cadi"), individuavano la cunetta giusta e davano una toccatina al freno: la ragazzina finiva contro la schiena del pilota, che non avrebbe preso sonno per l’emozione di quel contatto. Altri tempi.

Ciclomotori, scooter, motociclette. Ma quanti ce n’erano? Il censimento è sintetizzato dall’incanto nel garage Bolaffi oggi a Torino (e dalle 16 sul sito della casa d’aste): 360 ruote s’intitola il catalogo con 180 lotti. Uno spaccato doppio. Da una parte il costume, le passioni e la società del secondo Novecento; dall’altra il genio italico per la meccanica e i motori. Nel dopoguerra la febbrile rinascita aveva posto la necessità di un mezzo di trasporto individuale a basso costo d’acquisto.

Lo scooter – parola inglese che significa monopattino – fu una nostra novità rivoluzionaria che si diffuse nel resto del mondo. Idea incarnata da due meravigliose rivali: la Vespa Piaggio e la Lambretta Innocenti. Accanto a loro una miriade di modelli creati da grandi artigiani, spesso a tiratura limitata, in ogni angolo del Belpaese. Gli anni ‘50 furono una miniera. C’erano il Formichino e lo Scoiattolo nati a Bergamo dall’estro di Donnino Rumi. Lo Slughy 125 dell’officina milanese Domenico Parilla, il Leoncino della pesarese Benelli (e la cugina MotoBi). Quindi i gioielli della Motom fondata nel ‘45 dalla famiglia De Angelis Frua. La Mi-Val, acronimo della bresciana Minganti-Valtrompia spa. Poi la Isomoto, azienda di caloriferi e frigo riconvertita dall’ingegner Renzo Rivolta. E il Guizzo col telaio stampato dalla bolognese Palmieri & Gulinelli. Capitolo a parte i marchi memorabili. La Gilera Ottobulloni, la MV Agusta Ovunque, la rara Guzzi Gtw biturbo (e il Trotter), il Cucciolo Ducati, l’Aermacchi bicilindrica progettata da Lino Tonti. Il Capriolo della società Aero Caproni, che si dedicò anche alle moto.

Alla spicciolata in ordine alfabetico: l’Alpino di Stradella, Afm ditta Alfredo Focesi, la società Ancora, Atala, i micromotori Ariz, Bernardi Mozzi Motor, la fiorentina Beta, lo Sparviero Bianchi, la Motograziella Carnielli, il ciclomotore della vicentina Ceccato, il Gabbiano della Fabbrica bolognese motocicli, il Velomosquito Garelli e i suoi fratellini, il Paperino napoletano, Italjet, la torinese Itom, il Laverdino Laverda. E ancora la Vispetta Malanca, lo Scugnizzo milanese Mondial, il Tresette Moto Morini, Motom, la Brunetta Nassetti, l’originalissimo Piatty disegnato da Vincenzo Piatti, il Piattello toscano realizzato in due esemplari. E tanti altri modelli fino alla reggiana Zepa a chiudere il cerchio di una geografia operosa e della nostra storia. Tutte le moto che ci hanno reso più facile diventare adulti.