La Meloni mette in riga gli alleati "Ora staccate la spina a Draghi"

Fratelli d’Italia supera il Carroccio anche al Nord. La presidente esulta: "Vedo tornare un sano bipolarismo"

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di Antonella Coppari

Quando Giorgia Meloni, oramai sicura del risultato convoca i giornalisti nella sede del partito alle sette di sera, ha il piglio di chi detta legge: "Fd’I traina la destra grazie alla chiarezza delle sue posizioni. Il voto ha fatto giustizia del racconto secondo cui non avremmo una classe dirigente. Ora vedo pure tornare un sano bipolarismo". Senza più tentazioni di proporzionale. Toni molto diversi, quasi opposti in casa dell’alleato Matteo Salvini: lui, invece, dall’accoppiata referendum-amministrative è uscito bastonato e ridimensionato. Tenta di fare buon viso a cattivo gioco affidandosi al successo della coalizione: "Sono contento se il centrodestra vince. La Lega si sforza di essere il collante dell’alleanza. Uniti chiudiamo subito le partite, divisi andiamo al secondo turno". Per ciò che riguarda la nota dolente del leader della coalizione e candidato premier alle prossime politiche: "Lo decideranno gli elettori con il voto". Ma per quanto il Capitano si sforzi di minimizzare, il terremoto nel centrodestra è da massimo grado della scala Mercalli: lo ridisegna da cima a fondo. Non solo perché i sondaggi che prevedevano il sorpasso dei tricolori della ’sorella d’Italia’ sono stati confermati, soprattutto perchè è pienamente riuscito l’arrembaggio al Nord, dove Fd’I diventa il primo partito della coalizione. Sin dai dati parziali emerge come a Genova sfiori la doppia cifra rispetto alla Lega, a Parma voli oltre il 7% e ottenga più di Carroccio e FI messi insieme. A Piacenza il partito di Salvini perde quasi sei punti, mentre Fd’I passa dal 7 al 12%. Sorpasso anche in Toscana, dove ad esempio a Lucca, Fd’I, supera gli alleati ottenendo il 13% .È proprio in questo ribaltamento radicale degli equilibri interni alla destra che si annidano le minacce e gli ostacoli che potrebbero rovesciare le previsioni di vittoria alle prossime elezioni. Dopo la chilometrica seria di sconfitte accumulate negli ultimi mesi, per Salvini sembrerebbe essere suonata la campana dell’ultimo giro. Probabilmente non sarà così: vorrebbe dire affrontare il rischio concreto di una scissione che la Lega non può permettersi e che comunque nessuno, a partire da Giorgetti, vuole. Vorrebbe anche dire dover sostituire il leader e non c’è chi oggi sia in grado di farlo. Certo l’intenzione è di mettere il capo "sotto tutela" insomma, se non proprio di guidarlo, di condizionarlo. Già: ma in che senso? Perché da domani nel Carroccio si aprirà un confronto sordo ma duro tra chi attribuisce le responsabilità del disastro al piglio troppo critico del leader e chi vince alla sua eccessiva obbedienza nei fatti se non nelle parole a Droghi. Tendenza che sembra avere più possibilità di successo, visto che il Matteo milanese all’alleata che lo sfida a mollare l’esecutivo avverte che no, "non bisogna confondere il mandato a governare Belluno e Palermo con gli enormi problemi che l’Italia deve affrontare".

Insomma, prima di provare a condizionare Salvini i leghisti dovranno risolvere le loro divisione interne. Sulla legge elettorale ha ragione la leader di Fd’I: le speranze di una riforma proporzionalista sono morte ieri. Per quanto tentate possano essere Lega e FI non possono permettersi di sacrificare una vittoria molto probabile con l’attuale legge. In teoria resta possibile la federazione tra leghisti e azzurri, ma appunto solo in teoria: i due partiti insieme – concordano tutti – prenderebbero meno voti che divisi, e questo si tradurrebbe in una perdita secca di seggi. Il capitolo delicato è quanto Berlusconi e Salvini siano disposti a subire l’egemonia di Giorgia Meloni: il risultato di ieri può evolvere in direzioni opposte. Potrebbe spingere Capitano e Cavaliere a fare saltare il tavolo (in Sicilia, per dire, l’azzurro Miccichè sbarra la strada alla candidatura di Musumeci alle regionali) ma equivarrebbe a sfidare gli elettori: dalle dichiarazioni a caldo non sembra questa la scelta. Oppure, come è più probabile, potrebbero accettare leadership e, in caso di vittoria, premiership di Giorgia facendo però valere al massimo in termini di seggi e di ministeri il loro peso. Direzione indicata peraltro anche dai soci minori come Toti e Quagliariello: "Questi risultati devono insegnare al centrodestra che si vince con una coalizione allargata. Con i voti moderati". Casomai fallisse il piano A, diventare uno dei perni di questa alleanza, per i capi di Italia al centro resta il piano B: un polo centrista con Calenda. Insomma: tutto dipenderà dalla capacità di quella che è indisctibilmente la vincitrice assoluta delle elezioni di ieri di gestire il successo con lungimiranza e senso della misura. Se Giorgia riuscirà a trasformarsi da capo partito in leader della coalizione, la sarda sarà tutta in discesa altrimenti tornerà in salita.