
Provate a salire su un aereo a 26 anni, nel 1998, per arrivare negli States, bussare alla porta delle grandi major del fumetto e sentirsi rispondere “no“. Beh, senz’ombra di dubbio c’è da rimanerci male. Assai male. Oltre al fatto di dover tornare a casa, a Lucca, armi e bagagli, da solo. È l’inizio della storia di un fallimento? Tutt’altro. È l’inizio di una gran bella storia, che se potesse essere un fumetto porterebbe sicuramente la firma di Simone Bianchi. Che ora di anni ne ha 51, ha qualche capello bianco in più, ma soprattutto ha dimostrato – anche alle major made in Usa – di avere talento da vendere, forse proprio grazie anche a quel primo “no“ che gli ha permesso di tirare fuori tutta la sua caparbietà.
Perché Bianchi, nato “drento le Mura“ come si dice dalle parti di Lucca, non ha mica “dato ne’ ciottori!“ (uscire di senno, ndr) – tanto per restare al dialetto lucchese – quando gli hanno detto “NO!“. Eh no: “Pitta m’ingolli!“ (rafforzativo di quello che si sta affermando, ndr) s’è detto tra sé e sé: e così c’ha riprovato qualche tempo dopo, quando di anni ne aveva 32, decidendo di restare a New York sei mesi bussando alle porte delle major una settimana sì e l’altra pure. E lì la svolta. Capiscono il suo valore e le sue potenzialità. Ora il curriculum vitae di Simone Bianchi farebbe concorrenza a una lista della spesa: da Comic Art a Panini, Bonelli, Dc Comics, Marvel, opere per big della musica come Caparezza, Smashing Pumpkins, Tool, 99 Posse, mentre alcune copertine di Star Wars commissionate dalla Disney sono state acquisite dalla Lucas Film. All’edizione 2023 da poco conclusa di Lucca Comics & Games ha presentato una linea di pennelli che porta il suo nome prodotta dalla “Tintoretto“ di Arezzo (è grazie a Pau dei “Negrita“ che ha conosciuto il titolare) mentre ha svelato in anteprima mondiale le copertine “Variant“ commissionate dalla Marvel – in occasione dei 60 anni di Avengers e X-Men – ad un ristretto gruppo di artisti in tutto il mondo, tra cui Bianchi.
Partiamo dall’inizio.
"La prima volta che andai in America era il ’98, avevo 26 anni".
E...?
"Qui in Italia già lavoravo, facevo qualcosa. Lì fu una X: NO!".
Beh, non proprio una svolta?
"Aspetta! Poi nel 2004 tornai là e rimasi a Brooklyn 6 mesi. Bussavo agli editori una volta a settimana. Alla DC Comics cominciarono a vedere i miei lavori e mi stavano per iniziare a dare lavoro, alla Marvel cercavano disegnatori di pagine interne. Tirai fuori un libro di un mio lavoro fantascientifico, “Ego sum“: lo sfogliarono tutto, lo chiusero e mi chiesero: “Chi vuoi disegnare per noi?“".
E lei?
"Wolverine!".
Ha stretto amicizie?
"Uno dei miei più cari amici negli Usa è diventato CB Cebulski che a quel tempo mi assunse e che ora è sempre uno dei miei referenti. Quando possiamo vederci, lo invito a casa per mangiare le lasagne".
So che ha un luogo diciamo, segreto, dove riposa durante le lunghe ore dei festival?
"Sì, è vero. Ho un materassino sotto il tavolo dello stand. Mi tolgo le scarpe e ogni tanto mi stendo e mi riposo".
E il caos intorno a lei?
"Beh, metto le cuffie e ascolto la musica!".
Torniamo a questi giorni: le copertine Variant: una bella soddisfazione?
"Certamente. Credo tra l’altro di essere forse l’unico europeo. Sicuramente l’unico italiano".
Quanto tempo per realizzarle?
"Fra disegnarle a matita e portarle in formato più grande per poi dipingerle, circa 5-6 giorni a copertina".
Mi parli dei supereroi: con chi si trova più in empatia?
"Inevitabilmente Wolverine. L’ho disegnato più di frequente, ho tenuto la testata regolare per dodici numeri a distanza di due anni e non so quante copertine, commissioni, illustrazioni per giochi di ruolo ho dipinto nella mia vita. È quello che mi esce dalle mani con più facilità. Poi, ascolta, finché hanno maschera, mantello o una maglia, disegno volentieri tutti quelli che hanno un’iconografia classica da supereroi".
Come si considera?
"Faccio l’illustratore. Anzi. Mi considero un pittore, perché l’ultima dimensione esperenziale che puoi avere nei confronti del mio lavoro è vederlo dal vivo. Cioè è lì che diventa pittura, l’unico modo di capire cosa ho fatto e se ti smuove qualcosa, sia in positivo che negativo, è se osservi un mio dipinto dal vivo".
Preferisce pennelli o digitale?
"Il digitale lo utilizzo ad esempio se devo fare due o tre proposte diverse perché ci metto 50 minuti invece di una mattinata intera. Quando poi è approvato, parto esclusivamente con strumenti tradizionali: matite, gomme, poi colori, acrilici, matite colorate, pennelli".
Perché?
"Secondo me è meglio, perché non ti posso trasmettere nessun tipo di emozione attraverso il digitale stampato... Prendi Pollock, la performance della gestualità degli schizzi: avrebbe senso un Pollock digitalizzato?".
Parla dell’atto della creazione?
"Sì, dello sporcarsi le mani, di intingere il pennello, come lo intingi, come lo passi, quanta acqua ci metti, come gestisci gli strumenti tradizionali che hanno un’infinita possibilità di gestione rispetto a quelli digitali che è molto più ridotta. A volte io, anche tanti altri miei colleghi, rifiniamo magari le immagini con alcuni ritocchi digitali, ma in maniera molto ridotta. Anche Miller ha parlato della gioia di sporcarsi le mani con china e matite".
Paura dell’intelligenza artificiale?
"Ho solo un grande terrore. Laddove l’IA si perfeziona a tal punto da essere in grado di dipingere come dipingo io o di suonare come Sting o cantare come Bono, non siamo a rischio noi creativi, siamo a rischio noi come razza umana".
Lei è batterista: chi vorrebbe incontrare nel campo musicale?
"Vasco. Il mio grande sogno sarebbe di dipingere qualcosa che ha scritto o suonato. Per me Vasco è un genio, è un poeta, lo vorrei conoscere tantissimo".
Fuori dal suo staff, c’è una persona di cui si fida davvero?
"Chi ascolto veramente come fosse la verità incarnata è Michele Salvemini (Caparezza, ndr)".
Bianchi, per chi non avesse capito, ha trasformato una passione in lavoro, facendo ciò che gli piace fare. D’altronde com’è che canta Caparezza? "Devi fare ciò che ti fa stare bene"...