Venerdì 19 Aprile 2024

La ‘Maglia de Dios’ all’asta per 5 milioni Il giorno che Maradona entrò nel mito

È la casacca indossata in Argentina-Inghilterra del 1986: il Pibe segnò due gol (uno con la mano) passati alla storia

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di Matteo Massi

Cinque minuti. Un terzo del tempo consacrato da Andy Warhol al diventare celebrità. Ma Diego Armando Maradona, quel pomeriggio del 22 giugno del 1986 allo stadio Atzeca di Città del Messico, era già una celebrità. E il meglio – purtroppo anche il peggio – sarebbe ancora dovuto arrivare. Quel giorno c’è Argentina-Inghilterra, quarti di finale. Più di una partita di calcio. In palio non c’è soltanto la semifinale. C’è la storia, quella con la S maiuscola, che divide il popolo argentino da quello inglese. Per gli inglesi si chiamano Falkland, per gli argentini Malvinas. Quattro anni prima c’era stata una guerra per il controllo di quelle isole. Diego Maradona, capitano dell’Argentina, prima di entrare in campo arringa i suoi. Dopo sei minuti del secondo tempo è 0-0. Poi arriva la “mano de dios“. Al rallenty si vede il pugno di Maradona che si alza al cielo e beffa il portiere inglese Shilton. Si vede il pugno e la sua maglia, la numero 10. Quella maglia adesso va all’asta. Per una cifra da capogiro: 5 milioni di euro. Destinata a crescere: si comincia il 20 aprile con l’incanto.

A mettere all’asta la maglia è Steve Hodge che giocò quella partita, dall’altra parte della barricata. A ottobre farà 60 anni, è nato nella città di Robin Hood, Nottingham, e ha fatto un’onesta carriera da centrocampista. Ma quel giorno un suo sciagurato rinvio genera il gol di mano. Alla fine della partita Hodge e Maradona si scambiano le magliette e lui per quasi 37 anni ha conservato la casacca più simbolica della storia del calcio. Perché, pur non essendo stata quell’Argentina-Inghilterra la partita del secolo, ha avuto però la fortuna e il privilegio di contenere il gol del secolo. E torniamo a quei cinque minuti, in cui può cambiare una partita di calcio, ma anche una vita.

Trecento secondi dopo il colpo beffardo di mano, Maradona fa sessanta metri di campo in dieci secondi netti, scarta cinque avversari, più il portiere Shilton e deposita il pallone in rete. La telecronaca di quei dieci secondi è un crescendo di Maradona fino all’esplosione della gioia del telecronista. Verrà riportata fedelmente all’inizio della canzone dei Mano Negra, il primo gruppo di Manu Chao: Santa Maradona. A fine partita – non erano ancora i tempi del Var – quando a Maradona chiedono del suo primo gol, dice: "Un poco con la cabeza de Maradona y otro poco con la mano de Dios". Insomma, un po’ con la testa e un po’ con la mano di Dio. Ed è già storia.

Un’espressione che nessuno dimenticherà più. Che entra nei libri e anche nei film. Come nell’ultimo di Paolo Sorrentino, appena uscito sconfitto all’Oscar che ha scelto come titolo proprio È stata la mano di Dio. E c’è una scena del film che descrive bene il trasporto con cui a Napoli, quel pomeriggio d’inizio estate di trentasei anni fa, si misero davanti al televisore per vedere quella partita. Sono tutti lì e non riescono a credere come in cinque minuti un uomo solo riesca a ribaltare la partita. Quell’uomo solo, non soltanto metaforicamente, è Maradona che dodici mesi dopo farà vincere il primo scudetto della sua storia al Napoli.

Da un anno e mezzo Dieguito non c’è più. Morto praticamente da solo a 60 anni, abbandonato a se stesso, vittima probabilmente di svariati tentativi di circonvenzione. Sepolto ma senza cuore. Per il timore che la tomba fosse profanata per rubare quel muscolo, così sfiancato, così sfibrato. Chissà in quel pomeriggio di giugno di trentasei anni fa quanti battiti il suo cuore fece in quei cinque minuti che cambiarono quella partita. E non solo.