La lunga caccia al mostro di Firenze Il superpoliziotto che sfidò in tv il killer

Scomparso a 75 anni l’ex capo della squadra mobile Ruggero Perugini. Rivoluzionò i metodi d’indagine

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di Stefano Brogioni

FIRENZE

Aveva studiato criminologia clinica a Modena, ma quando, il 3 febbraio del 1992, catturò l’inquadratura delle telecamere e si rivolse direttamente al mostro a cui stava dando la caccia, c’era molto del suo master di studi a Quantico, in Virginia. O del suo passato nella band musicale de “Gli Alleluia“, poco più che ventenne, negli anni Sessanta.

Nessuno, in Italia, prima di Ruggero Perugini, aveva mai sfidato un serial killer. Lui lo fece. In diretta tv, in pieno pomeriggio. Con la sicurezza del commissario di polizia e la padronanza della scena di una rockstar.

Si rivolse senza tanti fronzoli al mostro a cui stava dando la caccia. "Io non so perché, ma ho la sensazione che tu in questo momento mi stia guardando". Attaccò così il discorso con lo sguardo fermo e i Ray Ban a completare l’immagine del detective.

Ruggero Perugini non c’è più. A 75 anni, compiuti il 2 settembre scorso, un altro mostro, non meno vorace della belva che trucidò otto coppie di fidanzati tra il 1968 al 1985 nelle campagne intorno a Firenze, l’ha inghiottito ieri mattina.

Ci combatteva da anni, con il medesimo piglio di quel giorno, in collegamento Rai da Vicchio, il paese del Mugello che il mostro ha segnato con uno dei suoi delitti più feroci. Pia Rontini, la vittima più giovane, 19 anni appena, mutilata del pube e di un seno, mentre faceva l’amore con il fidanzato Claudio Stefanacci.

Nel 1986, sull’onda di un terrore sempre più diffuso, a Firenze era nata la Sam, Squadra anti mostro, e Perugini, con la sua specializzazione "americana", ne fu nominato il capo.

Quel giorno che ha segnato la storia della tv e delle investigazioni, Perugini aveva già in testa il suo assassino. E quell’appello doveva essere un modo per stuzzicarlo. Il commissario, che prima di arruolarsi in polizia era stato pure carabiniere, aveva rivoluzionato le indagini vecchia maniera portando il computer in questura. Aveva riempito il cervellone di dati e date e quell’archivio aveva partorito il nome di Pietro Pacciani. " E allora ascolta...", proseguì il poliziotto. Pacciani davanti alla tv c’era davvero, le cimici nascoste nella stamberga non registrarono però particolari reazioni. Perugini fu anche l’uomo della perquisizione dell’orto, di quella cartuccia Winchester serie H che a un certo punto brillò da un travetto in muratura. Doveva essere la prova schiacciante contro il contadino scarpe grosse e cervello fine, alla fine è annegata pure quella in una mare di dubbi.

Ma Perugini, che terminò la sua esperienza alla Sam con il rinvio a giudizio del contadino, non ebbe mai dubbi sulla sua colpevolezza: pensando al serial killer – unico, senza complici – ci scrisse anche un libro, "Un uomo abbastanza normale". Uscì durante il processo al Vampa, una furbata dell’editore per non sprecare neanche una goccia della popolarità che diede il processo show che il 1 novembre del 1994 culminò nella condanna di Pacciani. Ma l’indagine sul mostro non finì con Perugini. Gli succederà il detective Michele Giuttari, resterà il pm Paolo Canessa, ci saranno altri processi. Pure un appello che manderà assolto Pacciani, morto nel limbo giudiziario, mentre, su un altro binario, correranno le condanne dei suoi complici, i compagni di merende Giancarlo Lotti e Mario Vanni.

Oggi, fallita la pista dei mandanti e archiviata la posizione dell’ultimo presunto mostro, il legionario di Prato Giampiero Vigilanti, i sedici omicidi fiorentinifirmati da una calibro 22 mai ritrovata restano un rompicapo processuale e uno dei tanti misteri dell’Italia che fu.