La lista dello zar: "Ecco i Paesi nemici" L’Occidente rilancia con sanzioni più dure

Nell’elenco russo c’è anche l’Italia, i debiti verranno pagati in rubli svalutati. Draghi irritato: non tutti i partner applicano le misure

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di Antonella Coppari

Ora è guerra della sanzioni. Arriva la prima risposta dalla Russia, proprio mentre l’Occidente si prepara a una seconda violenta bordata, che però stavolta non lo trova unito come per le misure precedenti. Il Cremlino stila l’elenco dei paesi ’ostili’: c’è anche l’Italia come tutte le nazioni Europee e ovviamente l’Ucraina, assieme a Stati Uniti, Gran Bretagna, Giappone, Nuova Zelanda e a staterelli minuscoli come Andorra o Liechtenstein. Spicca la presenza della Svizzera, che ha straordinariamente rotto la sua tradizionale neutralità.

Cosa significa in concreto stare in questa black list? Secondo quanto stabilito dal decreto varato una manciata di ore fa, lo Stato russo, le imprese e i cittadini che abbiano dei debiti con i governi ostili potranno pagare in rubli: visto il deprezzamento di questa valuta, è una misura che mira a colpire i creditori occidentali.

Non è una doccia fredda: "Ce l’aspettavamo", ammette il ministro degli esteri, Luigi Di Maio. Una sfida accolta: "Aumenteremo i costi per la Russia per la sua ingiustificata e non provocata invasione", dice il presidente americano Joe Biden in una videoconferenza con quello francese emmanuel Macron, il cancelliere tedesco Olaf Scholz e il premier inglese Boris Jonhson. L’Italia non è stata invitata, malgrado solo qualche ora il premier Draghi – volato a Bruxelles per incontrare Ursula Von der Leyen – avesse cercato di dimostrare che il nostro Paese, dopo gli iniziali sospetti di eccessiva morbidezza – sia schierato sulla linea della fermezza: "Noi abbiamo fatto il massimo, abbiamo congelato i beni degli oligarchi russi, altri non hanno fatto altrettanto". Anche l’uso della lingua inglese serve a sottolineare che nel mirino c’è la Gran Bretagna. Da Palazzo Chigi si minimizza: si fanno tanti incontri in questi giorni. Fatto sta che gli Stati Uniti – che vorrebbero la Russia fuori dal Wto – premono per arrivare quanto prima a un embargo sul petrolio russo. Pronti anche a procedere da soli. Comprensibile: strangolare economicamente l’Orso finché affluiscono nei suoi forzieri i milioni di rubli che arrivano dal petrolio non è facile.

La Ue però non è l’America, non dispone delle stesse riserve di gas liquido e la situazione nei diversi Paesi è diversificata. Per la Germania il blocco significherebbe il collasso. L’Italia dipende molto meno dal petrolio di Putin, ma il contraccolpo di un embargo sull’intera economia europea sarebbe micidiale: di qui l’asse Draghi-Scholz, confermata da una telefonata in serata tra i due premier in cui sono concordati "contatti stretti". Ma la sintonia tra l’Europa e Washington si blocca su un altro punto non banale: la tipologia di armi da inviare agli ucraini. Biden vorrebbe che la Polonia inviasse i suoi Mig di fabbricazione russa a Kiev in cambio di nuovi jet da guerra di fabbricazione Usa per Varsavia. Che però non ci sta, incassando la compressione di varie capitali Ue.

Dunque? A meno di difficili colpi di scena, l’Europa farà di tutto per togliere dal tavolo del consiglio informale di giovedì a Versailles queste due misure. Pronti invece a dialogare sul blocco dei pagamenti Swift anche per le banche rimaste fuori dalla prima tranche, in particolare Sberbank e Gazprombank, principale vettore con cui viene pagato il gas russo. Non dovrebbero esserci grossi ostacoli su un’altra sanzione del pacchetto: il blocco delle cripto-monete, che si renderebbe necessario perché molti magnati russi hanno trovato nella moneta digitale il rifugio per sfuggire alle sanzioni che li hanno colpiti. Come anche il blocco dei porti per i natanti russi. Semmai ce ne fosse stato bisogno, anche questa giornata ha dimostrato come i paesi non sono colpiti allo stesso modo dal boomerang delle sanzioni.

Per dirla con il premier Draghi, perché l’unità regga è necessario che scatti una dinamica solidale simile a quella che ha permesso di fronteggiare la crisi economica dovuta al Covid. Motivo per cui si ipotizza un fondo di perequazione finanziato, probabilmente, con i soldi del bilancio Ue. E naturalmente, c’è la questione dei profughi: ora non costituisce un problema, ma si parla di milioni di persone e nessuno si illude che questa sagra dei buoni sentimenti possa continuare all’infinito. Di qui, il tentativo italiano di superare quel nodo scorsoio che è l’accordo di Dublino.