La libertà su Twitter Protestò per la censura Ora è Musk a decidere chi parla e chi no

Due anni fa il tycoon si era schierato contro la cacciata di Trump . Ma da padrone del social silenzia i profili sgraditi: il caso dei reporter Usa

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di Matteo

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La parola chiave è chief twit. Solo così si può comprendere la torsione che Elon Musk sta imponendo a Twitter. La personalizzazione del social è ormai di fatto avvenuta. E così non sorprendono – ma preoccupano, questo sì – le ultime decisioni prese dallo stesso Musk. Lui è il capo del social, lui decide cosa fare con gli ospiti (e i contenuti) che considera sgraditi. In un colpo solo ha sospeso i profili Twitter di un discreto numero di giornalisti che si occupavano della piattaforma. Fra loro reporter del New York Times, della Cnn e del Washington Post. Sostiene che sia una questione di privacy: al centro c’è l’account che tracciava i voli del jet privato di Mister Tesla che, è bene ricordarlo, prendeva i dati da un sito che è comunque di dominio pubblico ed è considerato legale. E di questo account hanno parlato i giornalisti sospesi.

Un passo indietro: più o meno a due anni fa. Meta e Twitter – che non era ancora di Musk – decisero di sospendere i profili pubblici di Donald Trump, perché erano considerati pericolosi i contenuti che venivano esposti. C’erano seri dubbi, anche allora, che quella fosse la scelta giusta: fino a dove si può spingere la libertà d’espressione? E soprattutto chi sono gli arbitri e chi regola sui social la libertà d’espressione stessa? Ci confrontiamo con piazze pubbliche virtuali – e su questo ormai sono tutti d’accordo – che però hanno comunque un padrone che all’inizio era anche l’inventore della piazza stessa e che si era presentato al mondo spacciando al pubblico la possibilità di avere uno spazio dove poter esprimere, senza troppi vincoli, i propri pensieri. Tutte le piattaforme social, nel frattempo, più si sono ingrossate con gli iscritti, più sono diventate delle miniere d’oro, per la possibilità di avere a disposizione un’infinita di dati, spesso anche sensibili, utili da sfruttare e dare poi in pasto agli inserzionisti (che poi sono i veri clienti dei social, non gli utenti). E così con gli algoritmi, appena accediamo in Rete, siamo seguiti da una marea di proposte d’acquisto basate sulle nostre abitudini e sui nostri gusti. Questa seconda fase dei social che non coincide più con l’età dell’Oro della Silicon Valley diventa adesso la più delicata. Soprattutto con l’ingresso di Musk sulla scena.

Proprio due anni fa, ai tempi in cui Trump venne bannato, Musk fu uno dei pochi a schierarsi in favore di colui che stava per diventare l’ex presidente degli Stati Uniti, sostenendo che non si poteva limitare la libertà di parola. E tutta l’operazione Twitter partita la scorsa primavera, almeno dal punto di vista dello slogan con cui Musk si è presentato (free speech, libertà di parola) è stata impostata in quella direzione. Che nel frattempo, però, come dimostrano le sospensioni dei profili Twitter ai giornalisti ieri, è diventata molto arbitraria. A giudizio solo del chief twit, del ceo di Twitter, Musk appunto. Questa torsione rischia di essere molto pericolosa, oltreché preoccupante. L’Europa è già sul piede di guerra. La Commissione Europea sta sventolando il Digital Services Act (che entrerà pienamente in vigore solo dal 2024) e il Media Freedom Act, minacciando sanzioni a Musk.

In gioco non solo c’è la libertà di parola. C’è molto di più. È vero che possiamo scegliere di attraversare, di fermarci e di sostare in quella piazza pubblica virtuale. Ma nel momento in cui ci fermiamo, dobbiamo avere la certezza che le regole siano chiare e che proteggano le libertà individuali e collettive.