Giovedì 18 Aprile 2024

La lezione della preziosa vecchiaia

Roberto

Pazzi

E invece, a garantire l’affidamento delle nostre esistenze a sicuri Maestri, ci è venuta in soccorso proprio la ricchezza dell’esperienza fatta anche di errori e limiti, cadute e ripensamenti, non solo di virtù e successi, offerta dai geronti di lungo corso. Perché abbiamo preferito specchiarci nella navigata esperienza mentre ne veniva scandito il nome, era confessata in diretta la fragilità, perforava l’età senile il canto. Siamo stati così capaci di riappropriarci del bene prezioso di una vera autostima, accettando di essere il popolo dove gli anziani si avviano a essere una componente tanto importante.

Un’età nuova, la vecchiaia, perché la stiamo esplorando per la prima volta come maggioritaria: mai era accaduto nella storia del Bel Paese. Per certi aspetti tutta "ancora da inventare", nel senso di saggiarne tutte le potenzialità. Vincendo l’attrazione per la pagina bianca della vita, che sempre offre la giovinezza, senza spendere un centesimo. Accettando invece la poesia della pagina fitta di scrittura, dove i segni delle cancellature sono il costo del sangue stesso della vita. Nella pagina evangelica dell’adultera, quando Cristo porge la pietra a chi sia senza peccato, i primi ad andarsene sono i vecchi, quelli che più sono macchiati di colpe, di errori, di consapevolezza.

I giovani non possiedono la ricchezza della coscienza degli anziani e possono essere intransigenti, non avendo ancora provato che cosa costi vivere. Bisogna tornare alla classicità greca, al Platone della Repubblica, che affida solo ai vecchi il governo dello Stato, per ritrovare un simile riconoscimento dell’età disprezzata da un tempo, il nostro, che si riconosce più nel mito di Narciso che in quello di Filemone e Bauci, i due ottuagenari che si amano. A meno di non considerare l’età avanzata redenta dalla passione de L’amore ai tempi del colera di García Márquez.