La lezione dei giovani Tiktoker

Spesso parliamo di comunità perdute, spazzate via dai social, universi virtuali e non reali. La tragedia di Giulia e Alessia, le ragazzine morte in stazione a Riccione, dice il contrario. Ci dice, con il suo carico di strazio e disperazione che la comunità esiste, che sa essere unita nell’elaborare un dolore e che è dal mondo digitale che può arrivare una risposta a questo difficile processo di accettazione. Diario del secolo scorso, un po’ Spoon River, un po’ flusso di coscienza: la piazza di Tik Tok è stata la casa del primo ricordo di Giulia e Alessia, esperienza più reale che virtuale. Propagata nella presenza a Castenaso, per un funerale che è stato momento collettivo di accettazione del destino, quel destino che s’è portato via due ragazzine senza un perché, ma anche cesura di una comunità fratturata. Non solo passaggio tetro, ma anche speranza. Che i nostri ragazzi e le nostre ragazze, i figli, i nipoti, siano meglio degli adulti è assodato. Pensiamo solo all’uso da ’tribunale del popolo’ dei social di molti genitori e fagiani da tastiera e confrontiamolo con i tributi – album di immagini, canzoni, fotomontaggi – dei tanto vituperati Tiktoker. Pensiamo alle due reazioni: da una parte (vedi Facebook) torme di adulti che pensano solo alla colpa, all’additare, al criticare, allo straparlare; dall’altra i ragazzini che non vedono la colpa, ma elaborano il lutto, lo trasformano in speranza e non in rabbia, ne fanno un’analisi semplice ma non per questo meno nobile. Se c’è una lezione che ci consegna la storia di Giulia e Alessia, oltre a quella di un mondo terribile che a volte può cancellare due vite senza un apparente motivo, è che i grandi dovrebbero stare più zitti. Che dovrebbero ascoltare di più i più piccoli. E non pensare che le nuove generazioni o le nuove tecnologie siano sempre peggio di quanto venuto prima. E che non dovrebbero nemmeno giudicare gli altri, senza conoscerne il diario di vita.