Giovedì 18 Aprile 2024

La lezione che arriva dagli ucraini Parlare di patria ha ancora un senso

Il nostro Paese ha riscoperto solo negli ultimi anni un sentimento antico risvegliato dal presidente Ciampi

Migration

di Massimo

Donelli

Comunque vada a finire la guerra, cominciata nella notte tra il 23 e il 24 febbraio, sarà ricordata nei libri di Storia la tragica e bellissima lezione di patriottismo che gli ucraini hanno impartito al mondo intero. Sì, lo so. Quando in Italia parli di patria ti guadagni subito uno sguardo obliquo che dice: ma questo qui non sarà mica un fascista? Perché, per anni, anni e anni, dopo la fuga, l’8 settembre 1943, del re Vittorio Emanuele III (1869-1947) e dopo la caduta e l’uccisione di Benito Mussolini (1883-1945), la parola patria è stata bandita dal lessico comune. Il tricolore è stato a lungo considerato un simbolo della destra, qualcosa di cui vergognarsi. Perfino l’inno di Mameli è stato messo al bando. E sarebbe ancora così se Carlo Azeglio Ciampi (1920-2016), presidente della Repubblica dal 1999 al 2006, non avesse rimesso patria, bandiera e inno all’onor del (nostro) mondo in tre diversi momenti. Il 9 luglio 2001, in visita a Trento, il capo dello Stato spiazzò tutti: "Sono consapevole del grande consenso che avverto intorno a me sin dai primi giorni della mia presidenza. Credo che dipenda, io penso, dal fatto che ho espresso quel che avevo nel cuore: quel sentimento di patria intesa come orgoglio della città in cui siamo nati, orgoglio di ciascuno per la propria regione nella coscienza di trovarsi tutti quanti in questa unità nazionale e da questa Italia guardare all’Europa". Il 7 gennaio 2004, celebrando a Reggio Emilia la nascita della bandiera (7 gennaio 1797), Ciampi spiazzò tutti un’altra volta: "Il tricolore è il simbolo moderno di un popolo antico, ricco di cultura, di tradizioni, di arte e di nobiltà d’animo, ma anche sofferente per secoli per la mancanza di una insegna che lo unisse, che rappresentasse la volontà di un destino comune. Esponiamo il tricolore nelle nostre case. Custodiamolo con cura. Regaliamolo ai nostri figli. È importante che i sindaci, che hanno il privilegio di indossare la fascia tricolore, lo possano donare agli sposi, quando celebrano un matrimonio".

Infine, il 2 febbraio 2006, in occasione delle Olimpiadi invernali di Torino, Ciampi scrisse per La Gazzetta dello sport: "Come Presidente della Repubblica devo dire che alcuni dei momenti più belli del mio settennato sono stati proprio gli incontri con i nostri atleti olimpici di Sydney, di Salt Lake City, di Atene. Ho voluto sempre consegnare loro un tricolore, esortarli a cantare l’Inno di Mameli, il Canto degli italiani. In tante occasioni è stato di buon augurio. Cantatelo ancora. Gli italiani vi sosterranno".

Oggi sembra incredibile, ma quelle parole del presidente su patria, bandiera e inno risultarono scandalose. E furono criticate. Perché rompevano, appunto, un triplo tabù. È grazie a Ciampi, quindi, se gli italiani non esitano a esibire con orgoglio il tricolore (come durante il lockdown del 2020), a urlare a squarciagola "Siam pronti alla morte l’Italia chiamò!" (vittoria della Nazionale di calcio agli Europei 2021), ad ammirare il senso di patria degli ucraini.

Ma sarebbero pronti a imitarli se si trovassero nelle stesse drammatiche circostanze in cui sono piombati il presidente Volodymyr Oleksandrovyč Zelensky, 44 anni, e il suo popolo? Speriamo non accada mai. In ogni caso, è bene tenere a mente queste parole che l’inarrivabile Oriana Fallaci (1929-2006) ci ha consegnato nel libro La rabbia e l’orgoglio (2001): "La Patria non è un’opinione. O una bandiera e basta. La Patria è un vincolo fatto di molti vincoli che stanno nella nostra carne e nella nostra anima, nella nostra memoria genetica. È un legame che non si può estirpare come un pelo inopportuno". Zelensky docet.