La guerra degli Oz: "Papà sadico. Non è vero"

Le accuse della figlia Galia in un libro. Ma la sorella Fania e la moglie dello scrittore israeliano, morto nel 2018, smentiscono

Amos Oz

Amos Oz

E’ stata una storia di amore e di tenebra? Di certo, lo è stata quella della sua famiglia, che Amos Oz ha raccontato nell’omonimo libro, forse il più noto fra i suoi, pubblicato nel 2002 e diventato il primo film diretto dall’attrice Natalie Portman. Molto più incerto che sia stata altrettanto travagliata la relazione dello scrittore scomparso nel 2018, uno dei più importanti nel panorama israeliano, con la figlia Galia. Autrice di racconti per bambini, nell’autobiografia "Qualcosa travestito da amore" accusa Amos di essere stato un despota con lei: "Nella mia infanzia mio padre mi ha picchiato, imprecato contro, umiliata – scrive – La violenza è stata creativa: mi ha trascinato fuori casa e mi ha cacciato via. Mi ha chiamato schifezza. Non una passeggera perdita di controllo e non uno schiaffo in faccia qui e lì, ma una routine di sadico abuso". Chiosa: "Il mio crimine ero io stessa, così la punizione non ha avuto fine. Doveva essere sicuro che mi sarei dovuta spezzare".

Un ritratto a tinte foschissime che la vedova, Nili, e gli altri due figli, Fania e Daniel, smentiscono seccamente: "Abbiamo conosciuto un padre diverso – scrivono in un comunicato congiunto – un caldo, amorevole, attento genitore che ha amato la sua famiglia". A moltiplicare l’effetto choc, il fatto che l’immagine pubblica di Oz è diametralmente opposta: progressista, fu tra i primi a schierarsi in favore della soluzione due popoli-due stati per il conflitto israelo-palestinese.

Tra i fondatori di Peace Now, il principale movimento pacifista israeliano, criticò sia l’occupazione dei territori palestinesi sia gli insediamenti nella West Bank. Paladino degli accordi di Oslo, negli anni ’90 si sposta a sinistra e diventa il volto più celebre del partito Meretz. Malgrado ciò sosterrà, in nome del diritto all’autodifesa, sia la seconda guerra del Libano sia le due guerre di Gaza. In questi casi è sempre impossibile affermare le cose con certezza. Di fatto, non si può escludere che, come in Rashomon, esistano diverse verità. In fondo quelle di cui parla Galia Oz possono anche essere scenate, non infrequenti in un rapporto conflittuale tra genitori e figli (e la conflittualità tra i due era nota), certo non assimilabili alla violenza domestica ma che così possono essere vissute. Una certa suggestione letteraria può indurre al paragone tra la vicenda della madre di Amos, Fania Mussman, suicida a 38 anni, vittima della depressione, e questa storia. Ma sono appunto suggestioni, benchè lo scrittore Yehuda Atlas, amico di Galia, rilanci: "Sembra che anche la luna abbia la sua parte oscura".

D’altra parte Israele non è impermeabile a quella cultura che da un po’ di anni tende a demonizzare figure importanti del cinema e della letteratura, a volte per comportamenti gravi, altre volte per questioni minori che assumono dimensioni improprie. Alla fine quel che conta non è l’autore ma la sua opera. Ne era consapevole lo stesso Oz che raccontava: "Quand’ero piccolo, da grande volevo diventare un libro. Non uno scrittore, un libro: perché le persone le si può uccidere come formiche. Anche uno scrittore, non è difficile ucciderlo. Mentre un libro, quand’anche lo si distrugga con metodo, è probabile che un esemplare comunque si salvi e preservi la sua vita di scaffale, una vita eterna, muta..".