La guerra ci toglie anche il grano Prezzi folli, ora è incubo carestia

Ottanta Paesi nel mondo a rischio fame. L’esperta: le quotazioni erano già alte, ma il conflitto ha dato la spinta

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di Maddalena

De Franchis

Sembrava che il record assoluto fosse stato toccato a febbraio, all’indomani dell’attacco russo in Ucraina e dei primi consistenti timori sui flussi di approvvigionamento mondiale dai porti del Mar Nero. Ma la corsa dei prezzi dei prodotti alimentari è proseguita, inarrestabile, anche nel mese di aprile, polverizzando i record segnati in precedenza e raggiungendo livelli mai toccati nella storia: a confermarlo è l’indice Fao dei prodotti agroalimentari, che rileva le fluttuazioni mensili dei prezzi internazionali di un paniere di beni diffusamente commercializzati. Ed è stata proprio la Fao – organo delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura – a lanciare l’allarme sui possibili effetti catastrofici dell’aumento vertiginoso di diverse materie prime alimentari, dai cereali (in primis, grano e mais) agli olii vegetali (in particolare, l’olio di girasole, di cui l’Ucraina è primo esportatore mondiale), dallo zucchero alla carne.

Una crisi alimentare, che si tradurrà, secondo un recente rapporto dell’Ispi (Istituto per gli studi di politica internazionale), non solo in una revisione al ribasso delle previsioni di crescita globali già formulate per il 2022, ma soprattutto in un concreto rischio di carestia per almeno 47 milioni di persone, in oltre 80 paesi del Sud del mondo. I rincari energetici e delle materie prime alimentari – già iniziati nella seconda metà del 2021 – si sono abbattuti come uno tsunami su popolazioni già impoverite da oltre due anni di pandemia.

A ciò si è aggiunto il conflitto russo-ucraino, che ha fatto sprofondare i Paesi maggiormente dipendenti dalle importazioni di cereali – ad esempio, l’Egitto, per il quale il grano russo e ucraino copre l’80% del fabbisogno annuale – in un abisso di insicurezza alimentare e crescente timore di disordini sociali. Una minaccia che fa tremare vari paesi di Medio Oriente e Nord Africa, fra cui Libano, Siria, Yemen, Tunisia, Marocco e Algeria: in gran parte di queste aree, il razionamento dei cereali è già una triste realtà.

"L’impennata delle materie prime agricole è cominciata ben prima del conflitto, tant’è che nel 2021 le quotazioni dei cereali sono salite già del 27%", conferma Enrica Gentile, fondatrice e amministratrice delegata di Aretè-Agrifood company, società indipendente di ricerca, analisi e consulenza economica specializzata nei settori dell’agricoltura e del cibo, con sede a Bologna. "Le motivazioni sono innanzitutto di natura macroeconomica, legate cioè a una ripartenza post-pandemia più veloce nella domanda che nell’offerta. Non dimentichiamo che, durante l’emergenza Covid, la produzione è stata fortemente rallentata in quasi tutti i settori. A ciò si sono aggiunti eventi climatici avversi in vaste aree del mondo, che hanno decurtato la produzione, ad esempio, di cereali e grano duro in Canada e Stati Uniti (colpiti, la scorsa estate, da un’ondata di caldo senza precedenti), e di zucchero in Sud America". Problemi di approvvigionamento ulteriormente aggravati dallo scoppio della guerra, che ha comportato la perdita delle esportazioni di cereali e olio di semi di girasole dalla regione del mar Nero. "Gli effetti ricadono a cascata su tutte le componenti della filiera agroalimentare, dalla logistica agli imballaggi, mettendone a rischio la stessa sopravvivenza".

Se in Italia – e, in generale, in Europa – l’aumento generalizzato dei prezzi del cibo non degenererà nella carestia ("ma peserà inevitabilmente sulla crescita delle economie", sottolinea Gentile), la conseguenza a lungo termine sarà certamente un accorciamento delle filiere. Sarà la fine della globalizzazione come l’abbiamo conosciuta finora? "Non torneremo certo all’autarchia", conclude Gentile, "ma si cercherà di limitare la dipendenza delle filiere dall’estero, riportando molte produzioni, se non in Italia, almeno entro i confini del continente europeo".