La fuga dei moderati Forza Italia va in pezzi Salvini e Berlusconi allineati alla Meloni

La scelta dei defenestrare Draghi spacca gli azzurri del Cavaliere. Cangini vota la fiducia e la ministra Gelmini lascia il partito. L’amarezza del leghista Giorgetti: "Poteva finire in modo più dignitoso"

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Stavolta, Matteo Salvini, Silvio Berlusconi e – dietro di loro, in posizione di silenzioassenso – Giorgia Meloni, hanno marciato divisi e colpito uniti. Altro che liti, divisioni, gelosie. Una strategia “maoista“ perfetta: "Non importa di che colore è il gatto, ma che acchiappi il topo". Il topolino si chiamava Draghi e andava divorato. Dietro le quinte, in regia, c’è Giorgia Meloni e i suoi colonnelli (i capigruppo, La Russa, Santanchè, tranne uno Crosetto) hanno urlato poco, chiesto le dimissioni di Draghi con savoir faire e mai accusato Lega-Fi di tradire o trattare. Fd’I ha aspettato, paziente, che la preda Draghi cadesse nella tela del ragno. Il ragno – un’idra a due teste: Salvini e Berlusconi – ha tessuto la sua tela. Già dall’altra notte. Quando Berlusconi, gelido, dice a Draghi: "Sì, ora ti mando i miei a trattare. Clic". Lo aveva già scaricato, è la verità. Tanto che ieri – così narrano gli azzurri di Palazzo Madama – quando Draghi capisce che sta per essere divorato e lo chiama, più volte, al telefono, si sente rispondere: "Il presidente è impegnato". Il presidente nel senso di Berlusconi, non Draghi.

Salvini, poi, come il gatto che ha mangiato il topo, è andato su a Palazzo Chigi e ha fatto sapere, a cena, che "il premier era rigido, freddo, ha chiuso su tutto". Ma, a cena gli veniva da ridere: aveva in tasca il patto di ferro col Cavaliere. Ieri, non ha fatto altro che andare e tornare da Villa Grande: vertici continui col Cav. C’è anche chi giura che Berlusconi, davanti allo stato maggiore del centrodestra, avrebbe anche tirato fuori un programma in 20 punti per andare al voto e avrebbe già intenzione di fare una "bella foto" con la Meloni. Salvini, tra l’altro, sa che Silvio non lo tradirà: "Questo non è il Papeete 2. Ho imparato la lezione. Ci siamo fatti tutti più furbi". Infatti, ieri, al Senato, passa la palla a Roberto Calderoli e Massimiliano Romeo. Il primo – magro e raffinato ("se vuole le spiego perché, col 46-48% dei voti, faremo il 62% e più dei collegi…") – scrive la mozione Lega-Fi che chiedeva "un governo rinnovato nella squadra e nella missione", cioè senza 5 Stelle e con molti ministri tutti nuovi (ma sempre con Draghi, eh?!). Il secondo sferra l’attacco in sede di dichiarazioni di voto e tocca a lui urlare di tutto: "A te i ‘pieni poteri’ ti piacciono, eh?!". Salvini si eclissa, come se non esistesse. Parla il povero Stefano Candiani, quando tutto è già deciso.

La Lega, con l’alleanza a cinque punte (Fd’I-Lega-Fi-Udc-Lupi) è convinta di stravincere le elezioni e, come lista, di risalire "di parecchio" nei sondaggi. Ma pur se Fd’I sarà il primo partito, non ci piove, il patto con Fi non presuppone già la lista unica. "Non si fa in tempo, e poi i nostri simboli – spiega Andrea Crippa, vicesegretario della Lega (giovane, tosto, duro coi giornalisti, ma braccio di Salvini) – quello della Lega e di Fi, ma anche l’Udc, valgono, hanno tutti il loro perché e il loro appeal. Però, dopo, gruppi parlamentari unici sì, li faremo così pareggiamo quelli della Meloni…". I governatori, per ora, tacciono. Giorgetti pure. Un big leghista spiega: "Se volevano strappare lo avrebbero fatto. La pensano come noi. O c’era un nuovo governo Draghi o è meglio il voto". Solo Giorgetti si vede che parla di più con i suoi (ex, ormai) colleghi di governo che con i leghisti. "Si poteva concludere in maniera piu’ dignitosa".

Invece, Forza Italia è un colabrodo. Il partito è a pezzi. Il senatore Andrea Cangini, che ha una parola sola, fa ciò che dice: in assemblea di gruppo annuncia che voterà la fiducia a Draghi (mozione Casini), lo conferma ai giornalisti, poi entra in Aula: "Ho votato la fiducia 55 volte, la voterò la 56esima". La ministra Gelmini, abbandonata su una sedia, sola, lontana anni luce da Berlusconi, annuncia che lascia il partito, dopo l’ennesimo scontro con Licia Ronzulli che le consiglia "un bel Maloox" (le due signore, si sa, se ne dicono di ogni da mesi). "Fi ha voltato le spalle agli italiani e alla sua storia, e ha ceduto lo scettro a Salvini" scrive la Gelmini. Alla Camera alcuni la seguiranno, ma pochi. Le truppe vere le ha Mara Carfagna, che resta acquattata dove sta. Pare che, per lei, una ricandidatura ci sarà. E Brunetta? Tornerà a fare il prof.

Ettore Maria Colombo