Martedì 23 Aprile 2024

La fine ingloriosa dell’era Raggi Al ballottaggio Michetti e Gualtieri

Roma, astensionismo al 51%. La sindaca M5s precipita ma i suoi voti peseranno. Come quelli di Calenda

di Giovanni Rossi

La Capitale va al ballottaggio. Il tribuno radiofonico Enrico Michetti (centrodestra, 31% dei consensi a oltre metà dello scrutinio) e l’ex ministro dell’Economia Roberto Gualtieri (Pd più liste collegate, 27%) hanno 13 giorni di tempo per convincere un elettorato mai così diviso di poter lavorare meglio dell’uscente Virginia Raggi, falciata via da cinque anni di malgoverno. Raggi chiude terza per un soffio, con il 20%, davanti all’arrembante Carlo Calenda che, con il 19% delle preferenze e il 18,1% nel voto di lista, addirittura contende a Fratelli d’Italia (al 17,7%) il ruolo di prima forza politica della Capitale davanti anche al Pd. Ma se l’ordine del primo turno di scrutinio rispetta logica e pronostici, non svela con altrettanta immediatezza il quadro prospettico. Uno scenario complesso per frammentazione del voto, peso dell’astensione (sopra il 51%) e valore nazionale dell’appuntamento, specie dopo la disfatta del centrodestra al primo turno nelle altre città chiave di questa tornata. Roma è infatti l’unica – con Torino – in cui il centrodestra non perde, ma anche quella in cui potrebbe collassare definitivamente rispetto a narrazioni e sondaggistica pre-Draghi.

"Vinceremo le elezioni. Siamo convinti che Roma possa rinascere ed essere governata in modo efficiente nel segno della crescita, dell’inclusione, della transizione ecologica. Siamo molto fiduciosi, siamo molto ottimisti — esulta Gualtieri –. Affronteremo queste due settimane con grande impegno, umiltà, apertura, capacità d’ascolto".

Il candidato di riserva del Pd – dopo la rinuncia preventiva di Nicola Zingaretti su richiesta degli alleati 5 Stelle costretti a difendere la Raggi — sembra avere tutti i numeri per rimontare. L’assorbimento dei voti di Raggi e Calenda per ricalco delle dinamiche nazionali (e per sopravvivenza di Conte alla guida di M5S, precipitato nella Capitale all’11,4% dei consensi) si annuncia infatti probabile seppur non automatico. Anzi. "Con noi o con le destre? Non lo decide Letta — puntualizza Calenda –. Deciderò nei prossimi giorni sulle indicazioni di voto: personale e senza contropartita". Di sicuro "non ho intenzione di lavorare con Michetti".

Forte di un eccellente risultato, il numero uno di Azione con ambizioni neocentriste non ha alcun interesse a orientare in modo esplicito le sue fresche preferenze. Promette: "Non faremo apparentamenti e non faremo alleanze. Questa è una lista votata da cittadini di centro, destra e sinistra. Sarebbe scorretto prendere il loro voto e indirizzarlo". E anche Raggi, dopo la batosta subita e masochisticamente cercata a dispetto di una città condotta allo stremo, tra bus in fiamme, cassonetti stracolmi e cinghiali agli incroci, non intende certo schierarsi a favore di quel Pd nemico giurato della sua stagione di gaffes: lascerà parlare Conte e Di Maio (caso mai). Lei tira dritto: "Non darò indicazioni, i cittadini non sono mandrie da portare al pascolo".

Proprio in periferia, dove la sindaca uscente aveva le sue roccaforti, la partecipazione al voto è stata particolarmente bassa. La contendibilità dei municipi più popolari, dove il Pd prigioniero delle Ztl ha tanto sofferto in questi anni, sarà quindi lo snodo decisivo. Fratelli d’Italia e Lega in periferia hanno a lungo propagandato rabbia e malcontento. Ora proveranno a raccogliere voti. Ma nulla è scontato se Fratelli d’Italia sta sotto il 18%, la Lega al 6,1% e FI al 3,6%.

Anche la differenza di profilo tra i due sfidanti appare destinata ad approfondire il solco. Gualtieri, già figura di rilievo in Europa, poi ministro dell’Economia, ha uno status considerevole e una macchina di partito che — per quanto provata dai multipli avvicendamenti al Nazareno — ha ampia capacità di mobilitazione e ora appare galvanizzata. Al contrario Michetti, avvocato neofita della politica con radici totalmente a destra, imposto da Fdi e digerito per necessità dagli alleati, difetta di esperienza ed esprime una tale vaghezza di profilo — rispetto a Gualtieri — che solo una campagna a tappeto di Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Silvio Berlusconi, recuperando unità d’intenti, potrebbe tenerlo in pista per il Campidoglio.

Lui, Michetti, pensa di vincere: "Siamo in testa e significa che rispetto agli altri il nostro progetto è considerato il migliore. Nelle piazze un consenso travolgente. Puntiamo a una classe dirigente di qualità. Quello che più temo è l’astensionismo. Quando c’è, significa che le persone devono essere coccolate. Continueremo a girare le piazze per cercare di intercettare quanto più consenso possibile per far conoscere le nostre progettualità e come intendiamo realizzarle". Chiude così: "I voti di Calenda? Parlerò a tutti i cittadini. Mai creduto ai giochi di palazzo".