La finanza dal cognato di Fontana Trovati i 25mila camici mancanti

Sequestro dopo la perquisizione nella sede di Dama spa che avrebbe dovuto consegnare i capi alla regione. Dini: non vedevo l’ora di liberarmene. Acquisiti anche messaggi e comunicazioni tra i due parenti.

Migration

di Anna Giorgi

Il "corpo del reato ipotizzato", cioè la frode in pubbliche fornitura, ora è completo perché la notte scorsa la Guardia di finanza, durante la perquisizione alla Dama spa, l’azienda di cui è amministratore delegato Andrea Dini, cognato del governatore della Lombardia Attilio Fontana, ha trovato e sequestrato i 25mila camici mancanti (su 75mila totali) che la società non aveva mai consegnato alla Regione dopo che la fornitura concordata durante l’emergenza Covid era stata trasformata in tutta fretta in "donazione".

In realtà, nel pasticcio a catena di questa vicenda, nemmeno il contratto di trasformazione in donazione era mai stato registrato dagli uffici del Pirellone, sarebbero stati proprio gli avvocati di Aria (la centrale acquisti) a dare parere negativo alla conversione per questioni procedurali (la semplice mail inviata che annunciava la trasformazione non era sufficiente) e per le perplessità dovute allo smaccato conflitto di interessi fra Dini e Fontana, la cui moglie, fra l’altro, detiene una piccola quota della società finita sotto i riflettori della Procura.

I camici sequestrati, quindi erano il tassello mancante dell’inchiesta in cui, da venerdì scorso, sono indagati il governatore, il cognato e anche l’ormai ex dg della Centrale acquisti lombarda (Aria) Filippo Bongiovanni, già sentito nei giorni scorsi dai magistrati. Su Bongiovanni e Dini pende anche l’accusa di turbata libertà del procedimento di scelta del contraente. Nell’ultima perquisizione, quella della notte scorsa, il Nucleo speciale di Polizia valutaria della Gdf è rimasto nella sede di Dama oltre l’una, anche per acquisire chat, messaggi, mail e comunicazioni risalenti allo scorso maggio tra Dini e il governatore. La corrispondenza fra i due ricostruirà un quadro chiaro e inconfutabile anche sulla "consapevolezza dell’affaire" perché stando alle dichiarazioni rese in precedenza dal governatore ("Non ne sapevo nulla, non sono mai intervenuto sulla faccenda" e poi "sì ho chiesto a mio cognato di rinunciare al pagamento") i conti non tornerebbero sui contenuti e nemmeno sulle date.

Non è ancora chiaro, invece, il destino dei camici sotto i sigilli. Potrebbero essere dissequestrati presto, con l’avallo di Dini, che ne rimane proprietario, e potrebbero essere donati, stavolta davvero, alle strutture sanitarie. I magistrati hanno fatto sapere ieri che, qualora si decidesse per la donazione la procura è disposta a dare il nulla osta per l’eventuale dissequestro. Dini intanto si è detto "molto sollevato" dal provvedimento della procura: "Per me è una liberazione il blocco dei camici perché i giudici hanno visto che sono ancora tutti qui". L’avvocato di Fontana, Jacopo Pensa, annuncia invece un deposito carte difensive per settembre, convinto che il reato sia molto fumoso. Si vedrà poi se sarà necessario per il presidente leghista farsi interrogare.