Mercoledì 24 Aprile 2024

La direzione di Letta "Costretti ad allearci Ci giochiamo tutto in un pugno di collegi"

Il segretario si propone come candidato premier e tratta con Di Maio. L’ex capo 5 Stelle incontra il leader dem e il sindaco di Milano Sala. Il capogruppo grillino Crippa lascia: verso l’alleanza con il centrosinistra

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di Ettore Maria Colombo

La scelta dei candidati dovrà essere molto "attenta" perché le elezioni si giocano su "30 collegi uninominali al Senato e 30 alla Camera" dice Enrico Letta, parlando alla Direzione del Pd. Dove, poco prima, ha incontrato, lontano da occhi indiscreti, il leader di Ipf, Luigi Di Maio, e il sindaco di Milano, Beppe Sala. L’alleanza di una lista collegata al ‘listone’ dem ("Democratici e Progressisti"), che si porta in pancia Articolo 1 (Speranza), Psi (Maraio) e Demos (Sant’Egidio), c’è e ci sarà. Quella con i rosso-verdi di Bonelli e Fratoianni (data per naturale dal Nazareno) dipende. Da che cosa? Se c’è Calenda (Azione-+Europa-ministri ex FI) non ci sono loro, che potrebbero andare con i 5S. Intanto il Movimento ha registrato ieri le dimissioni del capogruppo Davide Crippa e del direttivo alla Camera. Ambienti Pd ritengono molto probabile che lo stesso Crippa e i suoi (stimati in 20-30 deputati) entreranno nell’alleanza di centrosinistra, ma non è chiaro se con un simbolo nuovo o dentro liste già esistenti, come quella di Di Maio.

Comunque, se ci sono i 5 Stelle, non c’è Calenda, ma dato che sembra Calenda ci sia, non ci saranno loro? Per ora, cioè a ieri sera, è ancora un quién sabe? Al netto del fatto tecnico che Calenda sembra dimenticare quando chiede "un accordo tecnico sui collegi". Il collegamento, dice la legge, devi farlo a livello nazionale, in tutti i collegi. Non si scappa: o dichiari che sei alleato ovunque, o non puoi fare desistenze finte. Toccherà, dunque, a Calenda scegliere. Renzi andrà da solo perché non lo vuole proprio nessuno: né Calenda né tantomeno Letta.

Ma tornando alla sala dove si riunisce il “Pd-Pd“, i presenti deglutiscono amaro e si fan due conti. Lo studio dell’Istituto Cattaneo, sfornato da un asso della materia, Salvatore Vassallo (scrisse lo statuto fondativo del Pd con Ceccanti), passa di mano in mano, da cellulare a iPad. In pratica, senza un’alleanza larghissima (dal Pd fino ai 5S passando per i centristi, cioè tutti) prevede un “bagno di sangue“ per il centrosinistra. In sintesi, "la mancata alleanza tra Pd e M5s potrebbe consentire al centrodestra di prevalere in circa il 70% dei collegi uninominali di Camera e Senato. I collegi blindati per il centrosinistra risulterebbero confinati in una parte della ex zona rossa (Emilia-Romagna, Toscana) e nelle grandi città (Milano, Torino, Genova, Roma, Napoli). Fd’I, Lega e FI avrebbero una confortevole maggioranza assoluta di seggi, Camera e Senato". Così ampia che, ora, c’è persino chi chiede (sinistra Pd, rosso-verdi, Art. 1, pure i ‘moderati’) a Letta di tornare sui suoi passi e fare l’alleanza coi 5s. Impossibile "politicamente", per lui. I collegi decisivi vengono indicati in Milano 1, Roma 1, Napoli 1, Torino 1, Marche Nord, Lazio Nord, campania Nord. Certo, "tutti i nodi saranno sciolti in una logica di interesse generale. Non perché io ho da candidare miei amici, ma perché faremo le scelte migliori" dice ancora Letta. E qui i sudori diventano freddi: "Sono quei collegi dove siamo sotto di 6-7-8 punti. Se c’è il candidato giusto...". Ecco, chi sarà? "Tante persone saranno scontente, ma dovete pensare a come dare una mano e non a essere un problema", quando usciranno le liste, "il cuore del nostro progetto politico siamo noi e la nostra lista, poi ci sono alleanze elettorali che siamo costretti a fare".

Papabili candidati che cercano, disperati, il bis dovranno fare un faticoso slalom tra il taglio dei parlamentari, le regole elettorali che spingono a patti puramente elettorali per spartire i collegi con gli alleati, le norme sull’alternanza di genere e il classico rinnovamento che Letta imporrà. La dead line è la prossima Direzione che, tra il 9 e 11 agosto, voterà le liste in via definitiva: sarà, facile previsione, un bagno di sangue e di sudore. A supporto c’è il regolamento: sono incandidabili i sindaci dei grandi comuni, i governatori, i consiglieri e gli assessori regionali e i parlamentari per 15 anni consecutivi, ma per tutti vale la possibilità di chiedere la deroga. E il regolamento dà al segretario una wild card per proporre candidature "di rilievo" o "indicate da altre forze politiche con cui il Pd ha stretto accordi". Leggi – appunto – Di Maio e Tabacci. Tranne Nicola Zingaretti, certo di esserci, tutti i big e diversi sindaci ("alcuni saranno candidati, altri saranno i nostri front runner", Ricci), per tutti gli altri è un continuo chiedere, affannarsi, dolersi. A chi? Citofonare Letta (Enrico), ai segretari regionali e, soprattutto, a Marco Meloni, capo segreteria dem. Sardo e, per alcuni, “sordo“. Pure alle preghiere.