Giovedì 18 Aprile 2024

La destra paga un deficit culturale

Raffaele

Marmo

Una classe dirigente non s’inventa in 100 giorni di governo. È l’amara e dura verità che emerge dal caso "Donzelli-Delmastro", che è la scivolata istituzionale più eclatante degli uomini di Fratelli d’Italia di questi mesi, ma non la sola. Il punto-chiave dell’"affaire" è proprio quello indicato all’inizio: avere una classe di governo, per un partito passato dal 4 % alla conquista di Palazzo Chigi in un lustro, non è impresa facile. Ma questa non è un’attenuante. Semmai, è un’aggravante, perché significa che la selezione degli uomini da portare in Parlamento o nell’esecutivo e ai quali affidare incarichi delicati è avvenuta, ancora una volta, non sulla scorta delle capacità di reggere la responsabilità, ma sulla scorta di linee interne ed esterne di fedeltà e di familiarità con il capo, nel caso con la leader. Certo, il criterio accennato non vale per tutto il gruppo dirigente di Fratelli d’Italia. E, anzi, non vale innanzitutto e paradossalmente per lei, Giorgia Meloni: la premier ha dimostrato un indubbio senso dello Stato e dell’interesse nazionale su molteplici fronti, uno più impegnativo dell’altro. E si può certamente aggiungere che nel novero delle scelte di valore del cerchio più ristretto rientra il sottosegretario alla Presidenza, Alfredo Mantovano. Come qualche altro Ministro del partito di Via della Scrofa. Ma, non appena si arriva (verrebbe automatico scrivere "si scende") a livello di "quadri" di "governo" e di partito (anche nei territori), si scopre come dietro Giorgia vi sia, se non il deserto, certo un gruppo dirigente in lontananza che deve ancora fare i conti con un lungo tirocinio di governo e di gestione della cosa pubblica ai massimi livelli. E questo non è un problema da poco per la leader: perché la miscela inesperienza-irresponsabilità rischia di essere una trappola micidiale per lei, pronta a scattare nei momenti meno appropriati e per i dossier più caldi.