La debacle Zan agita ancora i Dem Malpezzi minaccia le dimissioni

La capogruppo sotto accusa. Polemica col centrodestra. sui riferimenti all’"identità. di genere" nel dl trasporti

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di Ettore Maria Colombo

Nonostante il ddl Zan sia, ormai defunto, il tema dei diritti delle persone Lgbt+ non vuole uscire da Palazzo Madama. Ieri, è andato in scena un nuovo scontro sui diritti. In discussione c’era il Dl trasporti, che poi ha ottenuto il via libera in Aula. Ma nel testo, già approvato dalla Camera, c’è una norma, inserita dalle deputate Alessia Rotta (Pd) e Raffaella Paita (Iv) che prevede il divieto sulle strade e sui veicoli (tram, bus, etc.) di "qualsiasi forma di pubblicità il cui contenuto" violi ogni forma di "discriminazione di genere". La destra si oppone, chiede il voto segreto, lo ottiene e la norma passa indenne, nell’aula, solo perché il governo decide di mettere la fiducia.

Intanto, però, gli strascichi del voto sullo Zan, continuano a farsi sentire, soprattutto nel Pd.

La capogruppo dem al Senato, Simona Malpezzi, è arrivata a mettere sul piatto pure le dimissioni. Subito respinte, ovviamente, e da tutti. Ma è un’assemblea tesa, nervosa quella che vede i senatori dem riunirsi, lontani da occhi indiscreti (via gli staff, niente streaming) per la riunione che deve giudicare il comportamento dei massimi vertici del partito (Letta, Malpezzi, etc.) sullo Zan, assemblea richiesta dai più critici tra i senatori che, il giorno del voto, avevano di fatto chiesto ‘la testa’ della Malpezzi e ‘conto’ a Letta del loro comportamento "suicida", sullo Zan. La discussione si fa subito tesa. Dura due ore e volano parole grosse. Due pasdaran (del riformismo), l’ex capogruppo Andrea Marcucci e la ex leader dei tessili della Cgil, Valeria Fedeli, attaccano a testa bassa. Dicono che l’aver affidato la mediazione a Zan e pure "fuori tempo massimo", ha "commissariato il gruppo del Senato, ledendone l’autonomia". Il resto di Base riformista (un terzo del gruppo) non usa parole così pesanti, ma muove forti critiche. Parlano quasi tutti (Ferrari, Manca, Collina, D’Alfonso, Margiotta) e dicono che "il Pd ha rinunciato a fare politica. Abbiamo avvertito sui numeri, ci avete ignorati", il leit motiv di tutti. Il coordinatore della corrente, Alessandro Alfieri, è più diplomatico: riconosce che "la destra cercava solo lo scontro e non voleva mediazioni", rinnova la fiducia a Malpezzi, ma pure lui critica.

Le sinistre interne difendono le scelte di Letta e quelle della Malpezzi, peraltro espressione di Br ma che, per alcuni di Br, "ormai si è consegnata a Letta". Per Monica Cirinnà, "non esserci calati le braghe ci ha fatto ritrovare un’identità limpida". Luigi Zanda prova ad avvertire: "Già il Parlamento è frantumato, se lo siamo anche noi, salta la legislatura". E Zanda, Letta, lo ha difeso.