Mercoledì 24 Aprile 2024

La crisi dei negozi Centri storici desolati Chiudono le librerie, restano le farmacie

Tra il 2012 e il 2022 serrande abbassate per 100mila imprese. Denuncia di Confcommercio: colpa del Covid e della crisi energetica

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di Claudia Marin

Centri storici, vie dello shopping, ma anche viali e arterie di periferia: la pandemia, il commercio online e la crisi energetica hanno cambiato lo scenario urbano delle nostre città e cittadine. I negozi di vicinato e le attività commerciali di quartiere scompaiono giorno dopo giorno, lasciando il posto a serrande abbassate e vetrine abbandonate. Una visione quotidiana che trova riscontro della nuova analisi, ’Demografia d’impresa nelle città italiane’, realizzata dal Centro Studi di Confcommercio: tra il 2012 e il 2022 sono sparite, complessivamente, oltre 100mila imprese del settore, più di 99mila di attività di commercio al dettaglio e 16mila di commercio ambulante. Mentre sono cresciuti alberghi, bar e ristoranti (+10.275). Così come è aumentata la presenza straniera, sia come numero di imprenditori (+44mila), sia come occupati (+107mila), con la riduzione di iniziative e lavoratori italiani (rispettivamente -138mila e -148mila).

Meno vetrine in città e nei centri storici. Concentrando l’analisi sulle 120 città medio-grandi, la riduzione di attività commerciali e la crescita dell’offerta turistica risultano più accentuate nei centri storici rispetto al resto del comune, con il Sud caratterizzato da una maggiore vivacità commerciale rispetto al Centro-Nord. Cambia, nello specifico, principalmente il tessuto commerciale all’interno dei centri storici con sempre meno negozi di beni tradizionali (libri e giocattoli -31,5%, mobili e ferramenta -30,5%, abbigliamento -21,8%) e sempre più servizi e tecnologia (farmacie +12,6%, computer e telefonia +10,8%), attività di alloggio (+43,3%) e ristorazione (+4%).Tanto per il totale Italia quanto per le 120 città considerate, è necessario rimarcare la perdita di tessuto commerciale in sede fissa, con una riduzione del numero di punti di vendita attorno al 4% tra il 2019 e il 2022, valore che supera il 9% per gli ambulanti. Rischio di desertificazione commerciale La modificazione e la riduzione dei livelli di servizio offerto dai negozi in sede fissa confinano – spiegano da Confcommercio - con il rischio di desertificazione commerciale delle nostre città dove, negli ultimi 10 anni, la densità commerciale è passata da 9 a 7,3 negozi per mille abitanti (un calo di quasi il 20%).

"La sparizione dei negozi dalle città italiane – incalza il presidente di Assoutenti, Furio Truzzi - danneggia sia i commercianti, sia i cittadini che risiedono nei piccoli centri e si vedono privati di servizi fondamentali, e crea una nuova forma di degrado urbano con la strade sempre più caratterizzate da serrande abbassate che offrono un’immagine deprimente del nostro Paese". La crescita delle attività di alloggio e ristorazione, del resto, non compensa le riduzioni del commercio, ma modifica in misura rilevante le caratteristiche dell’offerta nelle città e nell’economia in generale. Complessivamente, la doppia crisi pandemica ed energetica sembra avere enfatizzato i trend di riduzione della densità commerciale già presenti prima di tali shock. L’online , invece, è "pericolo" e "opportunità". Assoutenti avvisa che i numeri sulla crescita del giro d’affari dell’e-commerce "non lasciano spazio ai dubbi": in soli 7 anni la spesa degli italiani per gli acquisti online è salita da una media di 643 euro a famiglia del 2015 ai 1.864 euro del 2022, con un aumento che sfiora il +190%.