La cordialità per volontà popolare

Pier Francesco

De Robertis

La foto di Mario Draghi e Giorgia Meloni durante il rituale cambio della campanella è diversa dalle precedenti con analogo soggetto. Stavolta il clima è davvero disteso, realmente collaborativo. E l’ora e mezzo di colloquio tra i due ne è una conferma. Il motivo di questa cordialità istituzionale sta soprattutto in un elemento di chiarezza che nelle democrazie mature dovrebbe essere la normalità e non l’eccezione: in mezzo ci sono state le elezioni. È stato il 25 settembre, il voto, l’espressione suprema della volontà popolare a spazzar via le possibili asprezze tra uscente ed entrante, come nelle altre occasioni non era accaduto. Dove prima c’erano state manovre di palazzo, agguati politici, beffarde coltellate nella schiena (e non erano mancate accuse di golpe, ricordiamoci di Monti-Berlusconi) stavolta il grande lavacro democratico ha fatto tabula rasa di sospetti e possibili incomprensioni.

Una grande lezione anche per il futuro, a chi tende a sottostimare l’importanza della rappresentatività effettiva, vera, di un qualsiasi governo rispetto al volere dei cittadini. Una banalità si potrebbe dire; per niente se si considera che quello che si è insediato ieri è il primo governo dopo 14 anni (l’ultimo fu Berlusconi nel 2008) che discende direttamente dal volere dei cittadini. Eppure c’è chi sostiene che il sistema è a posto, che siccome siamo in una democrazia parlamentare la rappresentatività è comunque assicurata, che la costituzione più bella del mondo va bene così.

Poi, certo, dietro al clima di collaborazione tra l’attuale presidente del Consiglio e l’uscente c’è un ottimo rapporto personale, e non ci scordiamo che la Meloni a gennaio avrebbe votato Draghi al Quirinale. C’è la cultura istituzionale di Draghi e forse il suo desiderio di non finire qui la propria carriera politica. Ma senza la chiarezza, quella che discende dal popolo, in democrazia non c’è niente.