Mercoledì 24 Aprile 2024

La convivenza non elimina l’assegno di divorzio

La Cassazione precisa: "È previsto anche in caso di nuove relazioni dopo l’addio al coniuge, ma non dovrà essere per sempre"

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di Elena G. Polidori

Gli avvocati matrimonialisti sono già sul piede di guerra, con la maggioranza schierata a favore e una minoranza contro, ma sta di fatto che la nuova sentenza della Corte di Cassazione, a sezioni riunite, provocherà un terremoto: l’assegno di divorzio – ha stabilito la Suprema Corte – non si perde automaticamente con un nuova convivenza, come avviene in caso di nuove nozze. Ma non è per sempre: può essere liquidato una tantum, o concordato per un tempo limitato, e quantificato in base alla durata del matrimonio, al contributo dato alla formazione del patrimonio della famiglia e alla perdita di chance lavorative. Insomma, la Suprema Corte si è pronunciata in favore di chi aveva scelto la famiglia, sacrificando le occasioni professionali (quindi stiamo parlando soprattutto di donne, in una sentenza redatta dalla giudice relatrice Lina Rubino e firmata dal primo presidente Pietro Curzio), questione che ha fatto sobbalzare la matrimonialista Annamaria Bernardini De Pace: "Se siamo uguali agli uomini dobbiamo smetterla di farci mantenere". Di parere opposto Gian Ettore Gassani, presidente dell’Ami (Avvocati Matrimonialisti Italiani): "Reputo questa sentenza assolutamente condivisibile".

Nella sentenza, tuttavia, la scelta di intraprendere un nuovo percorso di vita insieme a un’altra persona non è però considerato irrilevante: l’ex coniuge, in virtù del suo nuovo progetto di vita, non può continuare a pretendere la corresponsione della componente ‘assistenziale’ dell’assegno, anche se "non perde il diritto alla liquidazione della componente ‘compensativa’ dell’assegno", che è appunto volta a sanare le disparità di chance createsi nella coppia. Il caso che ha portato alla sentenza è quello di due ex coniugi di Venezia, che erano rimasti sposati per 9 anni e avevano avuto due figli. Lui proprietario e amministratore di un’azienda produttrice di scarpe, lei mamma a tempo pieno, che dopo la rottura aveva stretto una nuova unione con un operaio con il quale aveva avuto anche un’altra figlia. Alla donna, che aveva dichiarato di aver rinunciato a un’attività professionale per dedicarsi alla famiglia, il tribunale aveva riconosciuto un assegno di divorzio di 850 euro, escluso poi però dalla Corte d’Appello, che si è uniformata ai precedenti della stessa Cassazione in base ai quali se l’ex coniuge costruisce una nuova famiglia, anche se "di fatto", viene meno ogni presupposto per l’assegno divorzile.

Di fronte al ricorso dei legali della donna, la Cassazione ha comunque voluto sottolineare, tra le righe, che a 50 anni dalla prima e contrastata introduzione della disciplina dello scioglimento del matrimonio, sarebbe quantomeno "auspicabile" un intervento del legislatore "per attualizzare e rendere maggiormente satisfattiva la disciplina normativa relativa alle ricadute patrimoniali della crisi coniugale".