Giovedì 25 Aprile 2024

La comunità di Bose tra il Papa e la scissione

Alcuni monaci pronti a seguire padre Bianchi dopo il trasferimento imposto da Francesco. Ma l’eremo non s’identifica solo con la figura del suo fondatore

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di Lucetta

Scaraffia

È inutile cercare ‘la verità’ sulla vicenda di Bose, così come non sono state dette ‘menzogne’: piuttosto bisogna ammettere che ognuno dei contendenti ha una sua versione dei fatti e li interpreta in modo diverso, come succede in ogni situazione conflittuale. È poi molto difficile circoscrivere il conflitto ai diretti interessati perché la comunità di Bose è stata per mezzo secolo un luogo di incontri, di vivace vita intellettuale, e soprattutto per molti una risorsa spirituale. Cosicché alle non molte parole dei protagonisti – quasi solo tramite comunicati – è naturale che si sovrappongano commenti e interpretazioni dei partigiani delle due parti, e perfino di un ex confratello che interviene forse per togliersi qualche sassolino dalla scarpa.

Conoscendo e amando da anni la comunità vorrei invece raccontare qualcosa che pare finora interessare pochi, ma che è fondamentale per capire di quale realtà si stia parlando. Vorrei raccontare che la comunità è fin dalle origini composta di donne e uomini dalla spiccata personalità, molto diversi fra loro, alcuni dotati di una straordinaria e specialistica preparazione culturale. Quando si comincia a conoscerli e frequentarli, si capisce che, senza togliere nulla all’importanza della personalità carismatica e mediatica del fondatore Enzo Bianchi, i fondatori sono stati più d’uno.

Il dialogo ecumenico è stato costruito con pazienza da alcuni fratelli e sorelle che si sono dedicati a studi e a soggiorni in luoghi anche lontani, così da costruire un percorso vero di condivisione, non solo un’operazione politico-diplomatica. I grandi convegni annuali organizzati con il mondo ortodosso – che solo a Bose si ritrovava nella sua unità composita – erano veri momenti di confronto e impegno intellettuale e spirituale, grazie appunto a questo lungo e paziente lavoro che li aveva preceduti e accompagnati. Con altri cristiani e con diversi laici, protagonisti di mondi lontani con i quali si allacciavano rapporti, il dialogo era poi sempre aperto e vero, fondato su rapporti di collaborazione se non addirittura di amicizia. Quasi tutti quelli che hanno frequentato Bose hanno stretto amicizia con qualche sorella o fratello in particolare, in genere più di uno, scoprendo comuni interessi spirituali e intellettuali, o anche sperimentando la possibilità – rara – di parlare della propria vita, dei propri problemi, sentendo di essere ascoltati e accolti.

Se Bianchi era il volto pubblico della comunità, che per anni ha rappresentato con intelligenza e generosità, chi si avvicina a Bose scopre che le personalità di spicco da cui imparare ed essere accolti sono tante e che, per capirne il carattere e la storia, bisogna conoscerli tutti. Per questo non credo all’interpretazione edipica di chi vede nel conflitto con Enzo Bianchi l’uccisione del padre. A Bose di madri e di padri io ne ho conosciuti molti, e ho capito quanto ognuno di loro ha contribuito a costruire questa straordinaria esperienza. Forse solo così, raccontando la storia in tal modo, si può arrivare a una riconciliazione che permetta alle parti in conflitto se non più di convivere e coabitare, almeno di proseguire ognuno per la sua strada. Ma riconoscendosi fratelli. Ed evitando di distruggere la più bella esperienza del cattolicesimo italiano di questi anni.