La comunicazione "A destra svetta Meloni Letta vuole fare il Prodi E Conte non ha il fisico"

Il sociologo Panarari analizza le mosse elettorali dei leader dei partiti "Bisogna districarsi tra fake news e risse tv, i giornali sono fondamentali"

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di Antonio

Del Prete

Tweet, post, hacker e fake news. Serve un lume per farsi strada in una guernica di informazioni che piovono da ogni parte senza padri né madri. La campagna elettorale rischia di rivelarsi un percorso accidentato per chi tra poche settimane è chiamato pro quota a decidere le sorti dell’Italia in un contesto quantomai incerto. "Strutturalmente nelle democrazie liberali i media hanno la funzione di garantire lo svolgimento del dibattito pubblico, far circolare le idee e consentire al cittadino-elettore di formarsi un’opinione da manifestare col voto – spiega Massimiliano Panarari, professore di Sociologia e comunicazione politica dell’Università Mercatorum di Roma –. Ma questi sono tempi in cui la comunicazione sul web rischia di essere condizionata da hacker al soldo di potenze nemiche e spesso i talk-show televisivi non contribuiscono a diradare la confusione. La competizione per l’attenzione e il sovraccarico informativo complicano l’esercizio dello spirito critico".

Professore, a quali strumenti si possono affidare i cittadini in cerca di una bussola?

"Alla carta stampata, che tradizionalmente rappresenta il luogo d’elezione del dibattito pubblico, offre approfondimenti e non ha bisogno di ricercare una dimensione spettacolare. In questo senso è particolarmente importante la funzione dei quotidiani locali, quelli fortemente radicati nei loro territori, poiché rappresentano un punto di riferimento per i lettori".

Il rapporto diretto tra leader ed elettori sui social non rappresenta un argine contro l’astensionismo, anzi. Non crede che la mediazione della comunicazione sia un po’ come l’olio per il motore della democrazia?

"C’è una spinta costante alla disintermediazione, che se in passato ha riattivato l’interesse dei cittadini per la politica, oggi determina una serie di problemi. I post e i tweet danno l’impressione che a un’istanza debba corrispondere la soluzione immediata della questione, mentre i processi politici hanno un carico di complessità irriducibile. Poi ci sono le altre ombre".

Quali?

"L’inciviltà espressa da taluni leader che ingaggiano spettacoli politici con gli avversari di turno. Ma non solo. Da due decenni in rete il dibattito pubblico è inquinato con fake news, post verità, bot, nickname usati per colpire i nemici e alterare l’esito delle elezioni. Anche per questo la carta stampata ha una funzione particolarmente importante".

Ad ogni modo, anche un re della tv come Berlusconi si è dato ai video sui social. È efficace?

"No, il Cavaliere è per antonomasia il protagonista del diluvio della tv commerciale, quella che Eco definiva la neotelevisione. Riproporre sul web posture e temi elettorali che ci precipitano nella metà degli anni ‘90 provoca una sensazione di spiazzamento molto forte".

Salvini, considerato uno specialista di campagne elettorali, ha lo smalto di sempre?

"È vittima di una tendenza molto umana, per la quale squadra che vince non si cambia. Come in passato parla di migranti, ma nel frattempo la paura dell’immigrazione è stata sostituita da quelle scatenate dal contesto geopolitico e dalla situazione economica. A destra è più efficace la Meloni".

La leader di Fratelli d’Italia due giorni fa ha concesso un’intervista a Fox. Parlava agli americani o agli elettori italiani?

"Si è rivolta all’establishment americano presentandosi come una figura in grado di evitare scossoni e garantire continuità soprattutto in politica estera".

Uno che non perde occasione di ingaggiare duelli è Calenda. La strategia paga?

"Finora sì. Il suo è un populismo d’élite: è combattivo, va alla ricerca di un nemico, ma si propone come forza dell’establishment".

Dall’altra parte Letta si caratterizza per accenti molto pacati. Non rischia di essere meno incisivo di chi calca sui toni?

"Amplifica una caratteristica personale per distinguersi da ‘quelli che urlano’ e presentarsi come il portatore della pazienza di Giobbe, la forza tranquilla che risponde al bisogno di unità invocato dagli elettori di centrosinistra. Un po’ come Prodi".

È credibile uno come Conte, tutto ‘giuridichese’ e pochette, nei panni del Mélenchon italiano?

"Chiamo l’ex premier camaleConte, è una figura che continua a ricoprire ruoli per cui non ha il fisico. In questo momento veste i panni dell’antagonista per recuperare qualche consenso, una parte per la quale Di Battista sarebbe certamente più credibile".

Ha notato novità in questo inizio di campagna elettorale?

"Il recupero della dimensione analogica per via della rinnovata centralità delle feste di partito".

Oggi conta più la forma o la sostanza del messaggio politico?

"Negli ultimi tempi la sostanza è stata riassorbita dalla forma, spesso espressa da annunci irrealizzabili. Ma oggi i cittadini, alle prese con inflazione e caro-energia, chiedono un cambio di paradigma".