Venerdì 18 Aprile 2025
REDAZIONE CRONACA

La Commissione europea. Quando gli Usa erano nemici: "Non possiamo lavorare con gli idioti a Bruxelles"

La presidenza di François-Xavier Ortoli (1973-’77) alle prese con l’ostilità di Nixon. L’ira di Washington per il dialogo euro-arabo aperto durante la crisi petrolifera. E Kissinger ironizzava: "Che numero devo chiamare per parlare con l’Europa?".

La Commissione europea. Quando gli Usa erano nemici: "Non possiamo lavorare con gli idioti a Bruxelles"

di Piero S.

Graglia

Parlando all’inizio del settembre 1972 con i suoi più stretti collaboratori nello studio ovale, il presidente Nixon dette questa interpretazione dei rapporti tra Usa e Comunità europea: "Ci vorrà un sacco di tempo agli europei per agire come un blocco unico. Non vanno d’accordo tra di loro: quindi dobbiamo lavorare con i diversi capi di governo, e non con quell’idiota (“jackass“) che sta a Bruxelles".

In questo clima, nel gennaio del 1973, un francese diventava presidente della Commissione. L’"idiota" di turno, secondo il presidente americano. François-Xavier Ortoli era un gollista cauto e riservato, non uso a rilasciare interviste e dichiarazioni durante il suo mandato. Il che ha consegnato l’immagine di un presidente che navigava a vista; in realtà la sua azione fu decisa e, visto il periodo e gli interlocutori, peraltro efficace.

Non era solo un burocrate. Nel 1945, trovandosi la sua famiglia in Indocina per il lavoro del padre, aveva combattuto contro l’occupazione giapponese. Tornato in Francia nel 1946, aveva fatto una carriera governativa di tutto rispetto, legandosi sin dal 1962 all’allora primo ministro Georges Pompidou, che avrebbe preso il posto di de Gaulle nel 1969. Fu proprio Pompidou, diventato presidente, che nel giugno 1972 propose a Ortoli, già ministro delle Finanze, la sedia della Commissione, ricevendo un sì "quasi" entusiasta.

"Quasi", perché la Comunità in quegli anni si trovava in mezzo a numerosi problemi di notevole portata: l’arrivo del Regno Unito (insieme a Irlanda e Danimarca), previsto per il gennaio 1973, aveva scombussolato la politica francese, ancora divisa tra sentimenti gollisti e interessi economici curiosi dei nuovi sviluppi. Sul fronte atlantico, andava ancora peggio: Nixon aveva preso il 15 agosto 1971 la decisione di sospendere la convertibilità del dollaro in oro, cancellando gli accordi monetari-economici di Bretton Woods, negoziati sin dal 1944 tra gli Alleati.

La decisione aveva avuto come conseguenza la svalutazione del dollaro, mandando a carte quarantotto tutto il sistema monetario europeo, ma si accompagnava anche all’imposizione di pesanti dazi commerciali statunitensi contro le merci europee. Insomma, Ortoli arrivava a Bruxelles con poche soluzioni, ma tantissimi problemi da risolvere.

In più, nell’ottobre 1973, la guerra dello Yom Kippur tra Israele, Siria ed Egitto aveva avuto come corollario un’inedita azione collettiva da parte dei Paesi arabi produttori di petrolio: veniva aumentato il prezzo del petrolio di tre volte e si minacciava l’embargo per quei Paesi che avrebbero sostenuto Israele nella guerra, anche solo con la concessione di basi per il transito degli aiuti statunitensi.

La crisi petrolifera, come ogni crisi futura, insegnò qualcosa all’Europa comunitaria: la necessità di un fronte comune, ad esempio; e soprattutto la sensazione che se con gli Stati Uniti c’erano molti valori in comune, gli interessi erano ormai di fatto divergenti.

L’amministrazione Nixon infatti decise, con Kissinger, la linea dura contro i Paesi produttori di petrolio in Medio Oriente, mentre tutti i Paesi della Cee, dipendenti dal petrolio arabo, cercarono forme di dialogo che costituiscono, di fatto, il primo tentativo di una politica estera comune. Però la Commissione Ortoli faticò a essere inclusa negli incontri di quello che è diventato noto come il "dialogo euro-arabo". Paradossalmente, la maggiore opposizione al coinvolgimento della Commissione non era né italiana né tedesca, bensì francese. Ortoli riuscì tuttavia a imporre il ruolo della Commissione come partecipante agli incontri, anche in forza del fatto che, trattandosi di questioni energetiche ed economiche, la Commissione aveva tutto il diritto di essere presente.

Meno bene andò sul fronte della cosiddetta "cooperazione politica europea", cioè il coordinamento della politica estera dei “nove“ della Cee che venne impostata tra il 1973 e il 1975. Una necessità, più che un’aspirazione, nel momento in cui il legame con gli Stati Uniti stava diventando più fragile e la Cee ambiva a essere un soggetto e non solo un oggetto della politica internazionale. La Commissione venne sempre tenuta in disparte – come del resto è oggi – dalla "politica estera generale". I “nove“ crearono solo la parvenza di un coordinamento, che peraltro scatenò l’ironia di Kissinger che si chiese "quale numero di telefono devo fare se devo chiamare l’Europa".

Di sicuro, non quello di Ortoli, che se pure dette un contributo serio e coerente, anche allontanandosi dagli interessi del suo Paese di provenienza, venne sempre tenuto al guinzaglio dai governi dei Paesi membri, ottenendo però un’effettiva credibilità per la Commissione, quale interlocutore necessario sui temi di competenza economica e monetaria.

3- continua