Martedì 16 Aprile 2024

La coerenza atlantista di Meloni

Bruno

Vespa

Al congresso democristiano del ’69 il portavoce di Mariano Rumor, presidente del Consiglio, consegnò a noi cronisti in anticipo il discorso. "Saltate pure le prime trenta pagine", ci disse. "È politica estera...". Era tutto pacifico, nel partito e nella coalizione di centrosinistra. Stavamo da una parte senza discussione. Cinquantaquattro anni dopo per la prima volta un presidente del Consiglio deve tenere la barra dritta (sulla guerra in Ucraina) garantendo agli alleati internazionali che la posizione del governo italiano resta leale nonostante le riserve dei due partner di maggioranza. È vero che sia la Lega che Forza Italia hanno sempre votato i provvedimenti per l’invio di armi all’Ucraina, ma le dichiarazioni di Salvini (no Zelensky a Sanremo) e soprattutto quelle di Berlusconi dimostrano che la frattura esiste. È una frattura in sintonia con almeno metà dell’opinione pubblica italiana che non vorrebbe che l’Italia inviasse armi nell’illusione che questo possa contribuire alla pace. È noto che così non è. Come abbiamo già detto in altra occasione, sospendere l’invio di armi servirebbe a isolarci nel contesto internazionale, mentre l’atlantismo di Giorgia Meloni – prima all’opposizione, ora al governo – è stata l’arma migliore per accreditarci in continuità con Mario Draghi. L’altra sera a ‘Porta a porta’ il braccio destro di Zelensky, Yermak, ha ricordato agli italiani che Garibaldi e gli altri eroi del Risorgimento non si sono arresi mentre scacciavano lo straniero dal suolo italiano. È impensabile che nell’Europa del XXI secolo un Paese democratico possa essere invaso impunemente.

E anche se può sembrare assurdo, solo sul campo di battaglia possono costruirsi le condizioni per arrivare al tavolo della pace. Che non può portare l’Ucraina ad accettare che le vengano tolti per sempre almeno i territori conquistati dai russi nell’ultimo anno.