Mercoledì 24 Aprile 2024

La coda di paglia dei partiti sul referendum

Si dice ma non si fa. Ecco l’atteggiamento prevalente delle forze politiche di fronte al referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari, che ad eccezione del Movimento 5 Stelle hanno preso partito in grande maggioranza per il Si, salvo poi non fare campagna elettorale per convincere anche un solo elettore e, anzi, votare e far votare No. Un atteggiamento che ne evidenza la cattiva coscienza, come accade quando si sovrappone il giudizio su una riforma costituzionale ai mutevoli obiettivi della contingenza di bottega. Dimenticando che le riforme costituzionali restano, mentre le circostanze della politica sono scritte nel vento e nell’acqua che scorre. 

Predicano male ma razzolano bene, i partiti, e con una curiosa quanto involontaria eterogenesi dei fini riescono a far crescere così quel fronte del No che solo qualche settimana fa pareva spacciato e che invece adesso è pienamente in gioco.

Lo spettacolo si fa così ogni giorno più divertente. Nella storia della repubblica i referendum confermativi sono stati tre, segno dell’importanza dell’evento, eppure osserviamo politici navigati che una volta interpellati sul proprio atteggiamento si voltano dall’altra parte e fischiettano. Sono schierati per il Si senza che sia poi possibile rintracciarne una dichiarazione a favore del Si medesimo. Sono in giro per la campagna elettorale, si spendono per i loro governatori, ma sul referendum scena muta.

Prendiamo il centrodestra, per esempio. Matteo Salvini e Giorgia Meloni si sono detti favorevoli al taglio, salvo negli ultimi giorni ammorbidire le proprie posizioni (Salvini più della Meloni) e ovviamente parlare di altro ai banchetti. Folgorati sulla via di Damasco? Forse. Ma soprattutto consci del fatto che una vittoria del No potrebbe dare la spinta decisiva al governo dopo una probabilepossibile sconfitta della sinistra alle regionali. Speculare la posizione del Pd, che ha votato tre volte No alla riforma in sede di conversione, ma che sull’altare della governabilità si è ufficialmente schierato per il Si (senza che, ovvio, nessun esponente dem abbia fatto adesso un mezzo post per il taglio). Anche per loro l’obiettivo è contingente: non inimicarsi i grillini, in funzione regionale, governativa o quirinalizia. E pace se in cambio del Si Zingaretti aveva chiesto una serie di riforme a mo’ di bilanciamento, richiesta reiterata ai Cinquestelle con un deciso penultimatum la settimana scorsa e puntualmente ignorata.

Una cattiva coscienza complessiva che non contribuisce a far comprendere agli elettori i termini della questione. Forse è proprio il caso di dire: non servono meno politici, ma migliori. O per lo meno con le idee più chiare.