Venerdì 19 Aprile 2024

La Cina toglie gli organi ai detenuti (da vivi)

La denuncia: "Gli espianti eseguiti fino al 2015 sui condannati a morte". I medici ’boia’ in azione in almeno 56 ospedali

Una delle foto che rivelano la persecuzione degli uiguri da parte del governo cinese

Una delle foto che rivelano la persecuzione degli uiguri da parte del governo cinese

Quanti siano i condannati a morte in Cina e quante esecuzioni avvengano ogni anno è un "segreto di Stato" e neppure Amnesty International può darne il numero nei suoi report, ma quel che si teme è che chi non muore grazie al boia venga giustiziato dai chirurghi. Continuerebbe infatti, secondo lo studio di un medico israeliano e di un ricercatore australiano pubblicato sull’autorevole rivista scientifica "American Journal of Transplantation", la pratica - che nel 2015 il governo cinese si era impegnato a sradicare - di effettuare trapianti di organi provenienti da detenuti nel braccio della morte. Operandoli ancora vivi. Un modo per non pesare sulle carceri e rispettare i tempi dei trapianti, guarda caso molto più rapidi a Pechino che altrove. Secondo quanto hanno potuto appurare Jacob Lavee e Matthew Robertson, ci sono documenti medici del passato che raccontano come avveniva l’espianto da soggetti vivi, un metodo "che la nostra ricerca mette in forte dubbio che possa essersi interrotto". Fino al 2015 e per oltre trent’anni i "medici boia" avrebbero operato in cinquantasei differenti ospedali della Repubblica Popolare. La descrizione di uno di questi interventi – per trovare un cuore – apparso fra i quasi tremila rapporti clinici esaminati (scritti in cinese) è assolutamente da brividi.

I medici di un ospedale di Wuhan – siamo nel 1994, ma purtroppo il luogo è ben noto anche oggi perché è quello da cui è partita la pandemia di Covid 19 – scrivevano: "Quando il torace del donatore è stato aperto, l’incisione era pallida e senza sangue e il cuore era viola e batteva debolmente. Ma il battito cardiaco è diventato forte subito dopo l’intubazione tracheale e l’ossigenazione. Il cuore del donatore è stato estratto con un’incisione". Tutto ciò in barba alla legge che prevede anche in Cina che l’espianto avvenga dopo la dichiarazione di morte del donatore: vale a dire la mancanza di funzioni cerebrali e la necessità di usare macchine per sostituire la respirazione spontanea venuta a mancare. Nei casi dei cinesi sottoposti a questa tortura, il foglio veniva redatto quando l’uomo destinato al prelievo dell’organo era ancora vivo e non intubato. E le capacità intellettive erano efficienti. I due studiosi vedono la politica dietro questa pratica: sarebbe una repressione silenziosa per detenuti appartenenti al Fulan Gong, movimento filosofico messo in clandestinità dal regime perché "pericoloso", o alla minoranza musulmana uiguri dello Xinjiang, considerati veri e propri terroristi. L’Organizzazione mondiale della sanità, dicono Lavee e Robertson, non sarebbe però disposta a ridiscutere i protocolli firmati dai cinesi nel 2015.