La Cina sfida il mondo, linea dura a Hong Kong

Alta tensione nell’ex colonia britannica dopo la legge che ne limita l’autonomia: la polizia colpisce i manifestanti. E l’Occidente insorge.

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di Elena Comelli

È la fine di Hong Kong? La nuova Legge di sicurezza nazionale, entrata in vigore martedì, affossa il principio ’un Paese, due sistemi’ e le libertà di Hong Kong, ma il fronte antigovernativo sembra deciso a resistere. Migliaia di manifestanti si sono radunati a Causeway Bay e a Wan Chai per protestare contro la nuova legge imposta da Pechino. La polizia ha usato cannoni ad acqua, cartucce urticanti e proiettili di gomma per disperdere la folla. Eseguiti più di 300 arresti, secondo quanto comunicato dalle forze dell’ordine. "Siamo nelle strade per protestare contro la legge di sicurezza nazionale. Non ci arrenderemo mai", ha scritto su Twitter l’attivista pro-democrazia Joshua Wong.

Le manifestazioni coincidono con il 23esimo anniversario del ritorno alla Cina e il primo arresto è stato di un uomo con uno striscione inneggiante a Hong Kong indipendente. Tra gli arrestati ci sono Raymond Chan Chi-chuen e Tam Tak-chi del partito democratico People Power. Molti fermi sono legati alla violazione della nuova legge, che prevede pene fino all’ergastolo per chiunque sarà ritenuto colpevole dei reati di secessione, sovversione, terrorismo e collusione con le forze straniere, formule che molti hanno interpretato come un tentativo di reprimere le proteste a favore della democrazia che vanno avanti da circa un anno a Hong Kong. Pechino ha rivelato ieri che chi sarà arrestato dagli agenti cinesi a Hong Kong potrà essere estradato e processato da tribunali nella Cina continentale, non dai giudici garantisti della City. La scintilla della rivolta scoppiata nel 2019 era stata proprio la legge sull’estradizione, ritirata dopo mesi di cortei.

Dura la reazione dell’Occidente, a partire da Londra: la legge imposta da Pechino "costituisce una chiara violazione dell’autonomia di Hong Kong e una minaccia diretta alle libertà della sua gente, e quindi una chiara e grave violazione della dichiarazione congiunta" sottoscritta nel ‘97 dal Regno Unito e dalla Cina, ha ammonito il ministro degli Esteri britannico, Dominic Raab. Nelle settimane scorse il premier Boris Johnson si era dichiarato pronto a facilitare i visti per centinaia di migliaia di abitanti di Hong Kong, in modo da far loro ottenere la cittadinanza britannica. Washington minaccia rappresaglie: gli Stati Uniti, avverte il segretario di Stato Mike Pompeo, "non staranno a guardare" mentre Pechino impone il suo "morso autoritario".

La repressione in atto a Hong Kong ha suscitato indignazione anche a Bruxelles. L’Ue "ritiene essenziale che i diritti e le libertà esistenti dei residenti di Hong Kong siano pienamente tutelati" e ribadisce le sue "gravi preoccupazioni per la legge di sicurezza nazionale", rileva una nota dell’Alto rappresentante Josep Borrell. Il ministro degli Esteri tedesco Heiko Maas ha definito la situazione a Hong Kong la "prima prova" per l’Ue nel semestre di presidenza tedesca iniziato ieri. La Cina, ha sottolineato, ha infranto la parola data. "La cosa importante – ha detto Maas – è che agiamo come europei invece di procedere ciascuno secondo il suo cammino".